Sembra esile e repellente l’animazione grafica di Mariusz Wilczynski, ma con lenta libertà introduce a spazi emotivi e riflessivi profondi. Con il suo primo lungometraggio Kill It and Leave This Town, in concorso alla prossima Mostra del cinema nuovo di Pesaro, porta a maturazione un percorso poetico e di ricerca ultradecennale.

Nel tuo ultimo film «Kill it and leave this town» figuri come personaggio. Lo consideri anche una forma di auto-analisi?
Sì, il contenuto è costruito sui miei sentimenti ed esperienze perché solo così riesco a esprimerli nel modo più completo e veritiero. Se sperimenti la morte di qualcuno che ti è caro, allora sai quanto fa davvero male e quindi puoi comunicarlo nel modo più suggestivo e al contempo personale. I peccati e fallimenti verso chi si ama mostrati nel film, o l’incapacità di comunicare con loro, derivano in gran parte dalla mia esperienza. Ma non è un documentario. È una fiaba costruita sulle mie emozioni e sensibilità, non una fedele ricostruzione della mia vita. Ho cercato di fare un film universale basato sulla mia vita.

Compari anche nel processo del fare il film. Cosa motiva le tue scelte?
Sono guidato solo dalla mia intuizione.

C’è voluto molto tempo per realizzare questo tuo primo lungometraggio. Perché?
All’inizio pensavo a un’animazione di solo musica e senza dialoghi di 10-15 minuti, come tutti i miei film precedenti. Mentre lavoravo alla sceneggiatura, il film cresceva e allora ho pensato che il formato più lungo non avrebbe funzionato senza parole, e dovevo provare qualcosa che non avevo mai fatto: dare voce al personaggio. Ho scritto dei monologhi e ho invitato allo studio l’attrice cult polacca Irena Kwiatkowska allora 98enne. Registrandola ho capito quanto valore aggiunto guadagnavo per il film. Quindi ho deciso che non poteva recitare da sola e ho scritto alla svelta un’altra scena con dialoghi in cui la signora Irena incontra il suo compagno: Andrzej Wajda. Poi ho cominciato ad aggiungere ulteriori scene e ciascuna dava origine ad altre ancora… Il processo creativo consisteva nell’aggiungere più scene e personaggi. Se mi fossi reso conto dall’inizio che la sceneggiatura avrebbe dovuto coprire 90 minuti, probabilmente il film sarebbe stato fatto in minor tempo.

Nella tua filmografia di cortometraggi, ci sono temi ricorrenti che qui sembrano intessuti insieme. Forse hai sempre lavorato su questo grande film della tua vita?
Cerco di fare film diversi dai precedenti, ma la mia immaginazione è in qualche modo coerente o forse solo limitato. Certamente, in alcuni miei film, quali Unfortunately, Death to Five o In the Stillness of the Night ci sono fantasmi di genitori. Mamma, che sia una ragazzina o una donna anziana, porta sempre fiocchi rosa nelle sue trecce.

Fra i temi ricorrenti c’è il collegamento fra umani e animali –uccelli, pesci, cani- alternando momenti di identificazione e inversione di ruoli, spesso con tinte crudeli.
Gli animali sentono, amano, soffrono la mancanza, gioiscono, temono… Siamo un’unica famiglia, siamo anche animali, possibilmente un po’ più intelligenti, ma con gli stessi sentimenti di gioia e paura. Capire questo può aprire a una maggiore empatia per la sofferenza che infliggiamo loro. Non è un nostro merito essere nati umani. Non è merito mio l’essere nato in Polonia o tuo essere nato in Italia. Non è colpa di nessuno l’essere nato in un posto «peggiore» sulla Terra, o con una pelle considerata peggiore.

Il blues di Tadeusz Nalepa non è solo la nota principale della colonna sonora, ma anche un’atmosfera e stato d’animo del tuo lavoro e della realtà che presenta. Come ti rapporti al blues?
Mi piace il blues, ma per me la musica di Tadeusz Nalepa è qualcosa di più. Innanzitutto ha composto pezzi belli con meravigliosi testi di Bogdan Loebl. Sebbene le abbia costruite su una scala di blues, le opere di Nalepa sono andate oltre le limitazioni della formula blues, e soprattutto erano e sono tutte molto polacche. La londinese Antonia Lloyd Jones (traduttrice tra gli altri del premio Nobel Olga Tokarczuk), che ha curato la traduzione del film in inglese, mi ci ha fatto pensare. Antonia si era innamorata della musica di Nalepa e quando le feci notare che il blues bianco era nato a Londra, da dove venivano John Mayall e Peter Green, mi rispose che Nalepa era qualcos’altro, integralmente polacca, musica originale. Il paradosso è che nella Polonia comunista, Nalepa era molto oppresso dai critici per il fatto che la sua musica veniva da oltre «cortina di ferro» e che a tv e radio era vietato trasmettere i suoi brani.

Che funzione ha la musica per te?
La musica è la forma d’arte più bella e pura. L’animazione è sospesa fra la musica e la poesia.

«Kill It and Leave This Town» è un punto d’arrivo dopo un lungo viaggio creativo, ma anche un nuovo punto di partenza. In precedenza hai annunciato l’intenzione di realizzare un film animato basato su «Il maestro e Margherita» di Bulgakov, che in questo film appare in forma di libro aperto sul pavimento. Confermi questa intenzione?
Sì, voglio veramente fare il mio adattamento de Il maestro e Margherita, ma sto rimandando il progetto di qualche altro anno. Sarà un’animazione con musica contemporanea, possibilmente in forma di opera lirica. Ma prima voglio iniziare il mio secondo lungometraggio animato, tanto personale e intimo quanto Kill It and Leave This Town, ma spero totalmente differente. Mi hanno incoraggiato la buona accoglienza alla Berlinale e al festival di Annecy, come pure le buone recensioni fra gli altri di Guardian, Hollywood Reporter, Variety e Screen Daily.

A Lódzź sei nato, anche come animatore. Cosa fa di questa città un centro importante dell’animazione polacca e internazionale?
Lódz evoca emozioni, la puoi amare o odiare, ma non puoi esserle indifferente. Lódz può essere una città pericolosa, qui sulle strade puoi incontrare persone come quelle dei film di Fellini o Lynch. Lódz è una città unica dove la vita è molto intensa e piena di emozioni, dove spesso nascono manifesti artistici e pensieri ribelli e d’avanguardia, non importa se siano per lo più locali, ma sono onesti e sinceri, non ti permettono di starsene seduti. Per questo pensieri e idee si scontrano a Lódz. È in questo clima che sono cresciuto come artista prima di diventare animatore. Tuttavia Lódz è un centro importante per l’animazione grazie alla famosa scuola di cinema dove sono professore alla Facoltà di Animazione assieme a persone quali Piotr Dumala e Marek Skrobecki.

Come ti rapporti all’importante tradizione dell’animazione polacca?
La conosco e apprezzo moltissimo, perché vengo dallo stesso paese e ci appartengo, ma non prendo ispirazione da questo patrimonio, non ci sono immerso. Ho guardato una volta la maggior parte dei film dei miei colleghi più anziani. Fanno eccezione Appeal di Czekala e Tango di Rybczynski, che ho visto diverse volte. Questi secondo me sono dei capolavori.

È più facile o difficile creare e sperimentare in Polonia oggi?
Dalla creazione del Polish Film Institute una dozzina di anni fa abbiamo regole chiare per ottenere fondi per la produzione di film, inclusi quelli sperimentali. Puoi fare domanda per varie forme di sostegno a differenti fasi di produzione, inclusa la sceneggiatura. Se hai una buona idea e scrivi una sceneggiatura interessante, riceverai il denaro per il film.

Da docente, quale approccio e filosofia cinematografici passi ai tuoi studenti?
Mi confronto con tutti separatamente, adottando un corso di studio individuale su misura per ognuno, perché ogni studente è diverso. Li motivo a fare solo i film che sono importanti per loro e insegno loro come arrivarci. So che la più grande ricompensa per il loro lavoro può essere la creazione del proprio mondo alternativo in cui potranno sempre rifugiarsi in sicurezza e vivere avventure. È quello che cerco di dare loro.