Nell’era del domino della ragione sull’emozione, abbiamo creduto che le parole potessero spiegarci tutto. Ci siamo affidati esclusivamente al «pensiero» per comprendere ciò che ci circonda, dal comportamento del nostro vicino fino ai più remoti rumori provenienti dallo spazio. Nel farlo, abbiamo messo sempre più da parte l’emozione, l’istintivo, l’irrazionale: in breve, abbiamo messo da parte l’umano, finendo per diventare abachi ambulanti.

Who’s Lila?, il capolavoro di Garage Heathen, si pone in netta contrapposizione con quest’idea: l’indagine investigativa invertita che il gioco propone ci obbliga a considerare non solo il livello espressivo più comune, quello dialogico, ma anche quello facciale. In una splendida riproposizione del concetto di «faccia» goffmaniano, Who’s Lila? ci obbliga a far cooperare ragione ed emozione, sottolineando come la prima non sia quasi mai diretta espressione della seconda, ma che anzi costituisce sempre una forma di finzione, una bugia che raccontiamo a chi ci sta intorno, come a noi stessi.

Garage Heathen ottiene questo risultato ideando una meccanica tanto semplice quanto efficace: piuttosto che scegliere quale frase usare come risposta, dovremo modellare i tratti somatici del nostro avatar, per dare coerenza a quanto detto a parole. Così facendo, Who’s Lila? riesce a evidenziare il ruolo determinante che gesti, espressioni, codice e contesto hanno nella comunicazione, in un’ansiogena e terrificante digitalizzazione della teoria di Jakobson.

Il gioco non si limita, però, a ideare questo modello e farci sperimentare con esso: dopo poche ore, il controllo degli eventi ci viene strappato, e diventiamo meri spettatori di una vicenda decisamente più grande, della quale non potremo avere… ragione. Una volta messo in dubbio cosa significhi comunicare ed esprimersi, Who’s Lila? ha persino l’ardore di chiederci chi, cosa e perché siamo, con un gusto lynchiano per il surreale che non si limita alla citazione pop, ma che attinge a piene mani dagli immaginari del regista, arricchendo il tutto con uno stile dither-punk che non ha ancora conquistato abbastanza il mercato da esser stato privato del suo valore estetico.

Non solo: evidente è anche l’ispirazione ad alcuni autori orientali come Junji Ito. Il ruolo dei media, non intesi come grande apparato informativo ma come storico strumento di diffusione dell’ideologia dominante, viene esplorato in Who’s Lila? con un tatto paragonabile solo alla complessità con la quale viene gestito il parallelo tra la nostra realtà e quella, a metà tra il realismo magico e il surrealismo più spinto, proposta dal gioco.

Garage Heathen ha poi saputo gestire in maniera egregia l’inserimento di ogni piccola «novità», non in funzione di una vacua varietà, di solito necessaria per riempire i vuoti tematici offerti dai prodotti tipici del mercato, ma in relazione a ciò che quello specifico momento del racconto deve comunicare.

Inquadrature, colori, voci e musiche (più di 50, ascoltabili solo se si sbloccano tutti i 15 finali) emergono solo in funzione dell’evento che ne necessità, e non un secondo prima, o in più: Who’s Lila? non si limita a criticare il nostro rapporto con la comunicazione, ma si propone come diretta alternativa.

Who’s Lila?, tra le tante cose, è dunque anche un paradosso: un gioco che critica la concezione della comunicazione perfetta, totalmente controllabile tramite la ragione e il dialogo, e che al contempo cerca, dialogando con chi gioca, di comunicare nel modo più completo possibile la sua idea.