Opera seconda della georgiana Elene Naveriani, Wet Sand è uno di quei film che permane a lungo nella memoria. Dopo le anteprime a Locarno e in Italia a Trieste, nella sezione dedicata alle cineaste emergenti della Georgia, Wet Sand è in tour nelle sale all’interno di una selezione di titoli del festival triestino (martedì 28 sarà proiettato al cinema Massimo di Torino) ed è disponibile su Mubi nell’omaggio che, in occasione di giugno mese del Pride, la piattaforma riserva al cinema Lgbtq+.
Ambientato in un villaggio sul mare lontano dalla capitale, Wet Sand ha come luogo centrale un bar che dà sulla spiaggia e porta il nome del titolo del film.
Lì convergono i vari personaggi che popolano una storia abitata dai comportamenti conservatori della maggior parte dei residenti, da legami sentimentali costretti alla clandestinità, da complicità che si solidificano riuscendo infine a rompere, o quantomeno a iniziare a sbriciolare, il cerchio bigotto perpetrato da tanti adulti che cercano di inculcare nei figli piccoli quel loro modo reazionario di affrontare questioni che non sono in grado di comprendere.

COME LA RELAZIONE tra due uomini o tra due donne. Quella che Eliko e Ammon hanno sempre tenuto segreta, fino al suicidio del primo, in un piccolo centro omofobo specchio di una nazione che festeggia la giornata della famiglia al posto di quella contro l’omofobia. Quella che, nel corso del film, sorge tra Moe – nipote di Eliko, arrivata da Tbilisi, capelli corti argentati, corpo androgino – e Fleshka, che aiuta Ammon nel bar.
Che l’amicizia tra le due donne si trasformerà in amore è evidente, ma il modo e i tempi di mostrarlo sono sorprendenti, al pari di qualsiasi altra cosa che accade.
Davanti alla ferocia che intanto gli abitanti hanno espresso contro i «froci» del posto, Moe e Fleshka compiono un gesto che da normale si fa sovversivo. Di fronte a tutti si baciano a lungo, con passione, e poi se ne vanno. Un gesto di sfida che non rimarrà isolato. Moe deciderà di restare e insieme a Fleshka riaprirà, nella casa del nonno, il bar, nel frattempo dato alle fiamme, mantenendone l’insegna. Ulteriore gesto di resistenza femminile, di sfida dall’interno a patriarcato e regole conservatrici.
Con precisione e fluidità di scrittura, messa in scena e recitazione, Naveriani distilla e disvela lentamente le informazioni che andranno a comporre le identità dei personaggi, anticipa i fatti salienti inserendo nelle scene, quasi di sfuggita, con lievità, cenni che sono già indicatori di sviluppo portati a compimento in momenti successivi.

LA SUA REGIA è discreta e profonda. La leggerezza del suo sguardo commuove, le bastano pochi dettagli per aprire vortici di significato in un film che è un potente e febbricitante melodramma che invita alla partecip/azione. Wet Sand, afferma la cineasta nata nel 1985 a Tbilisi, è «un omaggio alle persone che sono state dimenticate, una battaglia contro i pregiudizi, un atto di valorizzazione delle generazioni in lotta per la propria identità. Cos’è un punto di vista femminile? Non saprei, perché anch’io non so più se ho un punto di vista femminile o maschile… M’interessa di più il disordine del genere che la sua definizione».