Leonard Bernstein, Jerome Robbins, Arthur Laurents, Stephen Sondheim. Un’abbinata di nomi che catapulta nella mente il titolo di un capolavoro del teatro musicale, West Side Story. Musica, danza, recitazione in un mix che ha girato il mondo, da Broadway al cinema e ai teatri d’opera raccontando con songs come Maria, Tonight, America, Somewhere le lotte tra le bande rivali dei Jets e degli Sharks, americani i primi, portoricani i secondi, nativi e immigrati a battagliare per le strade di un quartiere-ghetto nella New York degli anni Cinquanta. Il tutto avvolto dalla trascinante musica di Bernstein tra jazz, ritmi latino-americani, solidità compositiva classica. «Una storia tragica» scriveva il compositore già nel 1949 «in termini di musical comedy, utilizzando tecniche della musical comedy, senza mai cadere nella trappola operistica».

SE NE RIPARLA a ondate nei decenni passati da quello storico debutto del 26 settembre del 1957 al Winter Garden Theatre di Broadway, versione moderna del Romeo e Giulietta di Shakespeare. Complice anche il film di Robert Wise realizzato nel 1960 e uscito nelle sale l’anno dopo con Natalie Wood nella parte di Maria. Un titolo su cui è tornato pochi anni fa anche Steven Spielberg con una nuova versione cinematografica e che in questi mesi è nuovamente d’attualità con la tournée della ripresa teatrale americana curata dal regista Lonny Price.
Passata in dicembre dallo Châtelet di Parigi, è ancora stasera, e domani con due repliche, al LAC di Lugano. In scena trentaquattro performer accompagnati da un’orchestra di venti elementi diretta da Grant Sturiale. Avvincente produzione, in tour dall’autunno 2022. A curarne la danza è Julio Monge, ballerino che lavorò con Robbins autorizzato a rimettere in scena le coreografie del maestro. Nei balletti brillano però più gli uomini del cast femminile che vorremmo più dinamico nel cult America, ma pungente è la verve di Milan Magaña (Anita) e convincenti sono nel canto il lirismo di Melanie Sierra (Maria, in coppia con il Tony di Daniel Fullerton) e in tutto il graffio rabbioso di Taylor Harley (Riff). Una scenografia fatta di elementi ruotanti di mattoni e metallo con balconi e scale antincendio delle tipiche vecchie case di Manhattan. Si trasforma, spinta dai performer, nel negozio da Doc delle riunioni di guerra, nella camera da letto di Maria, nella sartoria, nella palestra del famoso mambo.Coreografie a cura di Julio Monge, scenografia con balconi e scale tipiche della vecchia Manhattan

MERITA ripercorrere qualche passo saliente della gestazione del 1957: a lanciare a Bernstein l’idea di un Romeo e Giulietta che riscrivesse la storia in modo nuovo fu nel 1949 il coreografo Jerome Robbins, una carriera già di per sé aperta all’incontro tra gli stili della danza, dal classico al jazz, dal modern ai balli di sala, un artista straordinario che insieme a George Balanchine co-diresse per anni il New York City Ballet. Bernstein nel suo diario: «Telefonato oggi Jerry R. con una splendida idea: una versione moderna di Romeo e Giulietta ambientata nei quartieri poveri in coincidenza con le feste di Pasqua e Passover. Tensioni alle stelle tra cattolici e ebrei». Il quartiere doveva essere il multietnico Lower East Side. Passa qualche anno e quando l’idea è ripresa la strada cambia rotta: gli scontri tra gang rivali di cui parlano spesso anche i giornali sposta l’ambientazione sulla West Side tra americani e portoricani. La sfida? Bernstein nel 1955: «camminare sulla sottile linea di confine tra l’opera e Broadway, tra il realismo e la poesia, balletto e “puro e semplice danzare”, “astrazione e rappresentazione”. Evitare la tentazione del messaggio». Associazioni all’attualità per l’ispirazione sì, ma trasformate in chiave onirica, pur con finale tragico con la speranza di un luogo imprecisabile, in cui è la pace a vincere: è il momento dell’utopico Somewhere, oggi come ieri più irreale che mai. Peccato che nel film Maestro dedicato a Bernstein e candidato all’Oscar, di West Side Story si parli così poco.