Il Welfare, una giungla di appalti, gestiti dall’amministrazione con le stesse tecniche dell’edilizia e delle grandi infrastrutture. Lavoratori trattati come merci da pagare sempre di meno in gare a chi offre il prezzo più basso. Questo è il mondo degli operatori precari nei servizi sociali.

Cucinano, curano e assistono anziani e  persone con disabilità, gestiscono  asili nido e centri di aggregazione, puliscono scuole e uffici pubblici, coadiuvano gli insegnanti di sostegno nell’assistenza degli alunni che hanno difficoltà a seguire le lezioni, fanno il doposcuola . E tanto altro. Molto si è parlato in questi anni di lavoro di cura. I lavoratori della cooperazione sociale, molti dei quali lavorano negli appalti e nei subappalti della pubblica amministrazione, ne sono un esempio particolare.

Vivono di lavoro povero, operano fianco a fianco con i dipendenti ma subiscono una discriminazione salariale trasversale. Sono tutti precari, ma non lo sono ugualmente. Tra chi opera nello stesso contesto lavorativo ci possono essere contratti diversi. Che variano di città in città, ente per ente, regione per regione. A Natale, Pasqua, ponti, estate non hanno uno stipendio, né godono di ammortizzatori sociali quando la scuola chiude in estate.

Si chiama part time ciclico verticale. Una definizione che fa girare la testa, ma che tiene in ostaggio tantissime persone nell’economia dell’esternalizzazione, e della precarizzazione contrattuale e salariale, che gira intorno alla pubblica amministrazione. è un po’ il segreto dello sfruttamento di stato, e degli enti locali. Addirittura una metafora. Si lavora scuole statali e comunali con contratti fissi, ma part time che prevedono  la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione nei mesi di chiusura della scuola senza poter accedere a nessuna forma di ammortizzatore sociale nel periodo di sospensione.

Il rinnovo del contratto nazionale cooperative sociali, approvato recentemente da Cgil, Cisl e Uil con le centrali cooperative, non ha risolto i problemi strutturali – precarietà e sfruttamento – di un lavoro declassato, sottopagato e problematico. Latitano rimedi al dumping salariale che danneggia tutti, a cominciare da chi un contratto da dipendente ce l’ha. Mantenere un livello così alto di esternalizzazioni serve a contenere i salari anche di chi è all’interno del perimetro del lavoro sociale “pubblico”. Storia antica e attualissima.

Così, il rinnovo è stato commentato dai lavoratori del terzo settore della Diaconia Valdese: “Nessun indennizzo per la vacanza contrattuale di più di quattro anni – hanno raccontato in una testimonianza – nessuna introduzione della quattordicesima mensilità, riconoscimento assente o parziale delle professionalità effettivamente coinvolte nei servizi; aumenti tabellari che non recuperano il gap con l’inflazione; aumenti fittizi come nel caso della maggiorazione del lavoro supplementare, raggirato dalla prassi delle “estensioni orarie”.

Se il problema sono le esternalizzazioni, allora ci sono le gare al massimo ribasso. Accade in tutti gli appalti. Molto se ne è parlato in occasione della riforma del codice degli appalti. Anche nei servizi sociali sono la regola. E non è un mistero. Da anni se ne parla a carte scoperte. Con denunce da parte di tutti gli interessati.  Solo più di un anno fa c’è stato un “avviso comune” di Legacoopsociali, Confcooperative Federsolidarietà, Agci Solidarietà firmato con i sindacati confederali  (Fp Cgil, Cisl Fp, Fisascat Cisl, UilFpl, UilTucS). Allora denunciavano le gare al massimo ribasso che danneggiano tanto i lavoratori quanto le cooperative per le quali lavorano. E ovviamente i beneficiari dei servizi sociali e di inserimento lavorativo.

La “competizione sul prezzo” è un sistema.  E’ una concezione del mercato al quale è stato adattato anche uno Stato sociale a pezzi il cui scopo non è combattere le “piaghe” della povertà, della malattia, dell’ingiustizia o del precariato. Lo stato sociale neoliberale e conservatore vede in queste, e altre sciagure, un’opportunità di guadagno per i privati e di risparmio per i bilanci gestiti come “quasi imprese”.

Così, anche in questo settore dei servizi alle persone, sono stati imposti tagli così imponenti da rendere ingestibile sia le cooperative, che i salari dei lavoratori già soggetti alla precarietà. Di solito, infatti, le imprese aggiudicatrici di un appalto gestito in questo modo si rifanno sui lavoratori per ottenere il massimo profitto e nonostante i forti ribassi.

La soluzione potrebbe iniziare dall’internalizzazione dei servizi in appalto. La chiedono i sindacati di base Usb Adl Cobas, Clap, Cobas Lavoro Privato, Cub scuola università e ricerca, Sial Cobas, SGB hanno dichiarato lo stato di agitazione della categoria a livello nazionale e ieri 10 aprile hanno organizzato uno sciopero intercategoriale e hanno fatto un presidio a piazza San Silvestro a Roma dove hanno spiegato le loro ragioni.

“Rivendichiamo un’equiparazione delle paghe e dei diritti contrattuali dei lavoratori e lavoratori in appalto ai contratti del pubblico impiego” hanno scritto, insieme a un aumento degli investimenti, nella convocazione dello sciopero.

“Gli operatori del sociale svolgono un lavoro cruciale per aiutare i più fragili e sono costretti a farlo sotto lo schiaffo della precarietà  e di salari da fame. A tal proposito c’e’ solo una soluzione: l’internalizzazione. – ha detto Francesco Silvestri dei Cinque Stelle durante la manifestazione – Ora auspichiamo la convergenza di tutte le forze parlamentari affinché si possano aiutare queste persone e conseguentemente il paese”.

La protesta degli operatori sociali a Roma
La protesta degli operatori sociali a Roma @Clap

In parlamento è stato presentato il DDL 236/22 per l’internalizzazione degli operatori e operatrici in appalto nel settore scolastico. Se mai fosse approvato potrebbe permettere la stabilizzazione in ruoli pubblici di oltre 70.000 lavoratori nella scuola. I sindacati in piazza hanno chiesto alla politica un’interlocuzione a partire da questa proposta.

Una cifra impressionante, quella dei 70 mila operatori sociali precari nei servizi scolastici. Se si pensa che le stime annuali sul precariato solo dei docenti parlano di circa 200 mila persone. Senza contare che, restando alla scuola,  questi lavoratori possono svolgere anche ruoli delicati di assistenza a studenti diversamente abili. Coaudiuvano gli insegnanti di sostegno. Anche loro, spesso precari.

Tra un operatore sociale e un insegnante di sostegno ci sono mansioni diverse per contratti diversi. Ed entrambi, pur nella stessa scuola, lavorano per enti diversi. L’insegnante di sostegno per il ministero dell’istruzione; l’operatore sociale per una cooperativa che ha ricevuto un appalto dal Comune. Per questi ultimi è stato calcolato che la paga di base è di otto euro l’ora.