Warhol, identità seriale
Mao, 1972
Alias

Warhol, identità seriale

La mostra Al Ma*Ga di Gallarate, con più di 200 opere
Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 21 gennaio 2023

Che sia l’immagine di una latta di zuppa Campbell, o un’immagine, quella immagine!, di Marilyn Monroe, sappiamo subito di chi stiamo parlando. Questa volta, l’artista americano Pop per antonomasia, proprio il signor Andy Warhol, viene raccontato da una mostra, dai mille aspetti e angolature, al Ma*Ga di Gallarate, con più di 200 opere e nei 5000 metri quadri del Museo.

Dopo ormai 35 anni dalla sua scomparsa (era il 1987) si approfondiscono, ancora una volta, le molte anime creative della sua arte; Andy Warhol era di fatto nato come illustratore per allargare poi la sua indagine, e quindi la sua produzione, in tutti i campi narrativi figurativi che il mondo potesse offrirgli.
È stato illustratore e pittore, sceneggiatore e anche produttore cinematografico e televisivo, regista e direttore della fotografia che è riuscito, nelle sue attente e coraggiose invenzioni culturali, a diventare un’immagine indelebile di quegli anni Ottanta ammaccati dall’inaspettata, violenta e improvvisa comparsa di quell’epidemia sconosciuta.

La mostra, Andy Warhol Serial Identity, che apre a Gallarate domenica (fino al 18 giugno), sottolinea e conferma l’enorme poliedricità e forza trasformativa che ha sempre accompagnato le sue creazioni. In mostra sono visibili opere provenienti da istituzioni internazionali del mondo dell’arte, ovviamente senza dimenticare l’«Andy Warhol Museum» di Pittsburgh che permette di conoscere l’artista dagli inizi, con cui aveva da subito cominciato a confrontarsi con i mondi sia della moda che dell’editoria, fino alle opere realmente Pop, i cui protagonisti-personaggi, sono volti o marche famosi in tutto il mondo, che sia la moglie del presidente Jacqueline, o anche la marca di un detersivo con cui le massaie lavano i piatti ogni giorno. Elvis Presley o l’imperatrice persiana Farah Pahlavi, diventano icone del momento presente, conosciuti, avvicinabili ma sempre miti che diventano il ritratto e la personificazione del mondo moderno e contemporaneo. «Tutti», aveva detto, «vivranno almeno15 minuti di notorietà» e quindi certo, emerge il nuovo modo di vivere, celebrare, consumare e, all’occorrenza, chiunque diventa protagonista principale.

Alcuni disegni, realizzati in privato, e alcuni primi bozzetti pubblicitari dei primi anni di attività, sono esposti all’inizio della mostra e rappresentano i primi codici pubblicitari che si aprirono la strada proprio in quegli anni del primo del dopoguerra. Il mercato americano avrebbe infatti incontrato una stabilizzazione crescente e l’artista dagli occhiali inconfondibili, riuscì a cambiare e ribaltare l’estetica attraverso una rappresentazione più semplice e certamente meno monotona, che si accingeva e reiventare il mondo del bello.
Il marchio del suo stile era diventato sempre più unico e personale e, già due mostre del 1962 tenute a Los Angeles, dove esponeva 32 tele di Campbell Soup, avevano colpito il mondo dell’arte e l’avevano definitivamente lanciato nell’olimpo degli artisti più nuovi e più trasgressivi. In qualche modo, aveva aiutato e supportato le creazioni di quegli anni, per rileggere e rinominare la realtà.

Una volta conosciute e studiate nuove tecniche, linguaggi, e i tanti codici della comunicazione di massa (democratici, che riuscivano ad arrivare sempre e comunque a tutti), lo portano a produrre pezzi d’ arte serigrafate in serie, a indagare e realizzare film e fotografie a livello sperimentale, innovativo, e spregiudicato. I livelli narrativi sono intrecciati e si confrontano tra loro. Il mondo della musica per esempio, riconferma di continuo la sua presenza negli interessi firmati Warhol.

Proprio dall’«Andy Warhol Museum» di Pittsburgh arrivano i Silent Movie e gli Screen Tests con gli insoliti e inaspettati estratti della programmazione dell’Andy Warhol TV. Come si filma?, e come si viene filmati? La ricerca di Warhol viene in concreto rappresentata nel lavoro intitolato Empire, in versione integrale lungo 8 ore e 5 minuti; ovvero quella famosa ripresa dell’Empire State Building seguito e ripreso dal tramonto all’alba; o anche in Kiss, del 1963-64, lungo 58 minuti, in cui sono montati in sequenza baci tra coppie sia etero che scandalosamente omosessuali. Semplici baci, la cosa forse più normale del mondo, si trasformano quasi magicamente in oggetto di studio da parte dei sempre ‘soliti’ paladini benpensanti della normalità che subiva così un semplice ma diretto attacco. Ci sono poi i quattro famosi Screen Tests, cioè quelle riprese a camera fissa che erano state ottenute semplicemente puntando l’obiettivo su chi entrava e visitava la Factory. Erano le immagini di Salvador Dalì, di Lou Reed, di Bob Dylan e della bellissima Edie Sedgwick, tra le più fragili delle sue muse e che, volontariamente o meno, morì per un’overdose di barbiturici nel 1971 a soli 28 anni. Dal Museo di Pittsburgh arrivano anche i 5 episodi di Fifteen minutes, creati e prodotti proprio dalla Andy Warhol TV (che andrà in onda dal 1985 ino al 1987), e anche i tre brevi video del 1981 che erano stati girati per il famosissimo show televisivo americano Saturday Night Live.

Questa parte della mostra, dedicate all’esperienza filmica di Warhol, viene anche amplificata alla Porta di Milano, all’aeroporto di Malpensa, grazie a una video parete interamente dedicata sia alla Andy Warhol TV, che a un’installazione dedicata alle più famose e conosciute immagini dell’artista (operazione firmata dalla scenografa Margherita Palli).

Per la prima volta in Italia viene esposto anche il lavoro del fotografo e regista Americano Ronald Nameth, in un’installazione che era proprio nata dalla performance Exploding Plastic Inevitable, orchestrata sia da Warhol che dai Velvet Underground con la collaborazione di Nico.

Una creazione artistica che continuò ad andare in scena, riscuotendo successo di pubblico e critica sempre incerti e altalenanti, in molte e diverse città americane, da New York a Los Angeles e San Francisco, senza ottenere sempre lo stesso successo. L’artista manipolava luci e immagini, suggerendo comunque una specie di ambito psichedelico che lasciava sperimentare completamente gli effetto dell’acido lisergico, mentre i Velvet Underground e Nico continuavano ad esibirsi sul palco, accompagnati da scene del film, diapositive e da colori. A questo spettacolo era stato dedicato un video, girato già nel 1966 per la prima presentazione a Chicago. (e il video è riproposto oggi dal Ma*GA come unica fonte completa dell’intera performance).

Da non dimenticare che non è mai stato casuale che il rapporto con la musica fosse sempre stato molto presente e sentito e, di fatto, questa passione emerge anche da tutte le copertine di dischi, sia di musica classica che Jazz, a partire dagli anni Quaranta e Cinquanta, fino a quelle di grandissimi artisti contemporanei di Warhol, come i Rolling Stones, John Cale, Liza Minnelli, Diana Ross, Aretha Franklin, The Smiths, Debbie Harry, e nel 1981 anche l’italianissima Loredana Bertè. I temi raccontati e indagati da Warhol restano ancora oggi estremamente contemporanei e le domande che ha fatto allora, sembrano essere ancora aperte.

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