Libro molto atteso, Warburg e il pensiero vivente a cura di Monica Centanni («Engramma saggi», Ronzani editore, pp. 467, euro 29,00) è il frutto di una ventina d’anni di studi, ricerche, contatti, traduzioni, discussioni, condotte da Centanni e dal suo team «Seminario Mnemosyne», attivo presso l’Università Iuav di Venezia. La figura di Aby Warburg – per anni disattesa, emarginata e fraintesa – viene attentamente rivalutata in questo volume che riunisce per la prima volta undici contributi, usciti tra il 1930 e il 2007, di studiosi differenti per formazione e generazione (la loro scelta mirata è spiegata nella Nota iniziale). Ma converrà partire dal saggio della curatrice, collocato a conclusione della raccolta, se si vuole avere un panorama completo, esaustivo e appassionato del «caso Aby Warburg», per poter inquadrare e comprendere poi i vari contributi nella loro diversità e nel loro singolo valore.
Un «caso Warburg»? Perché? Che cosa si rimprovera e si critica, di che cosa si accusa il ricco amburghese, un outsider scomparso improvvisamente nel 1929, che per anni e anni costituì la spina nel fianco dell’establishment scientifico-accademico? È singolare che le prime discordanze sul suo operato si verifichino proprio tra i suoi eredi spirituali, dopo il trasferimento della Biblioteca da Amburgo a Londra. Decisiva la prevalenza della personalità di Ernst Gombrich, che approdò a Londra nel 1936, fu direttore del Warburg Institute dal ’59 al ’76 e autore di una biografia di Warburg (Aby Warburg. An Intellectual Biography, London 1970, trad. it. Feltrinelli 1983) che ebbe grande diffusione e fu decisiva per la sua fama: infatti, se da un lato rilanciò la figura dell’intellettuale amburghese, dall’altro contribuì a gettare ombre su Warburg soprattutto insistendo sulla sua eccentricità e dando rilievo alla precarietà della sua salute mentale che lo aveva portato a soggiornare per sei anni – dal 1917 al 1923 – presso la clinica di Binswanger a Kreuzlingen, con la diagnosi di schizofrenia. La biografia di Gombrich, per quanto affascinante e suggestiva (anche perché composta sugli appunti lasciati da Gertrud Bing) sancì l’idea che il pensiero e il metodo di Warburg fossero incrinati da una vena di irrazionalità e di asistematicità direttamente collegata alla sua malattia mentale, così derubricando, di fatto, gli squarci innovativi del suo pensiero a manifestazioni scientificamente irrilevanti.
L’interpretazione di Gombrich era destinata a prevalere rispetto alla vera «scuola warburghiana», rappresentata da Gertrud Bing – la più stretta collaboratrice di Warburg –, Fritz Saxl ed Edgar Wind. Proprio Wind nel 1971 scrisse una violenta requisitoria contro la biografia di Gombrich, poi inclusa nella raccolta di saggi L’eloquenza dei simboli (1983, trad. it. Adelphi 1984). Il primo e più grosso equivoco che Gombrich alimenta è quello di collegare Warburg alla sua malattia – quella schizofrenia che successivamente Kraepelin ridusse a «disturbo bipolare maniaco-depressivo», correggendo la prima diagnosi di Binswanger. Ma proprio su questa menomazione insiste Gombrich, tanto che negli anni a venire il giudizio così viziato avrà molto peso nel ridurre la comprensione dell’opera dell’amburghese.
Ma intanto il metodo dello «studioso folle» scuote comunque l’universo delle scienze accuratamente diviso in compartimenti stagni, ognuno con le sue verità universalmente riconosciute e saldamente fissate. Storia dell’arte, antropologia, astrologia, studio dell’immagine e infine tutta l’antichità risvegliata dal suo sonno di bella addormentata per essere rimessa in discussione. Un vento di salutare tempesta si abbatte sulla storia della tradizione classica e la rifonda collegandola al presente e proiettandola nel futuro, fino ad attaccare le basi della cultura universale.
Centanni sottolinea più volte e con vigore lo scontro con gli studiosi tradizionali, con le posizioni e i poteri accademici e chiarisce, punto per punto, chiamando in causa tutti i saggi raccolti, la potenza visionaria di questo creatore di una «scienza senza nome» in quanto chiamata a indagare liberamente e senza preconcetti i segreti di una cultura congelata in formule fisse e privata di una sua voce, intima e segreta. Centanni denuncia apertamente i «poliziotti di confini disciplinari», «la logica punitiva della competenza settoriale», per chiarire che la filologia del dettaglio instaurata da Warburg non si limita a estendere la visione ristretta degli specialisti alla valutazione del particolare – ma li invita a trarre dal particolare lo spunto per un’apertura a tutto campo che da un determinato contesto storico si trova riscoperta e rivalutata nel presente per proiettarsi poi nel futuro. Passato, presente, futuro. Una nuova sfida per lo studioso che deve affrontare la ricerca con atteggiamento sospetto, pronto a rilevare le crepe, le anomalie, gli errori e a «mettere in crisi idee ingessate e cronologie stantie».
Sarebbe troppo lungo ricordare qui le vicissitudini degli scritti di Warburg, l’accidentato cammino percorso fino alla sistemazione della sua opera critica. Questo volume che, grazie alla pregevole iniziativa dell’editore Ronzani, esce contemporaneamente anche in lingua inglese, serve a far luce nel panorama internazionale degli studi sulla travagliata ricezione non solo del pensiero ma della stessa opera di Warburg. Ma la dirompente personalità di Aby Warburg non si comprende in pieno se non si accentra l’attenzione sulle sue creazioni fondamentali: la Biblioteca e l’Atlante Mnemosyne.
Nata ad Amburgo, costruita su progetto dello stesso Warburg, ricca di libri disposti dal Maestro in un ordinato disordine secondo problemi specifici anziché in base alle categorie accademiche, la splendida Biblioteca è il cuore stesso di Warburg e insieme il lascito che rispecchia per sempre il suo genio. Nel suo saggio del 1985 Salvatore Settis ha proposto una vera e propria storia concettuale dell’opera-Biblioteca: unica al mondo per la disposizione dei libri, studiata in funzione delle tematiche, una sorta di «macchina per studiare», in cui la forma ellittica della sala di lettura, concepita e voluta da Warburg, «corrisponde a una struttura concettuale» che chiama in causa appunto la figura a due fuochi dell’ellissi – di contro all’univoca figura geometrica del cerchio. Ma – come sottolinea Mario Praz – la Biblioteca Warburg non è più il vanto di Amburgo. Nel 1933 la minaccia costituita dal nazionalsocialismo convinse Fritz Saxl a organizzare il suo trasloco in Inghilterra, trasloco che avvenne fortunosamente per nave, di notte. Accolta dagli inglesi, la Biblioteca dovette però attendere a lungo per avere adeguata sistemazione a Woburn Square dove oggi il Warburg Institute – che porta come insegna la parola MNEMOSYNE – accoglie studiosi di tutto il mondo le cui ricerche divergono e convergono sulla base di uno studio aperto e senza confini.
L’altro lascito non meno importante del Maestro è il Bilderatlas Mnemosyne, l’Atlante della memoria, rimasto incompiuto per l’improvvisa scomparsa di Warburg nel 1929: i neri pannelli dove Warburg aveva incollato fotogrammi disparati, secondo una concezione nota a lui solo ma comprensibile se considerata nell’ambito del suo progetto di un nuovo modo di studiare l’influsso dell’antico sulle epoche successive. Gombrich a suo tempo aveva bollato l’opera come «non finibile» e così l’Atlante è rimasto ignorato per mezzo secolo prima di essere riscoperto e rivalutato. Mnemosyne: la Memoria. Un atlante di immagini progettato per lo studio della tradizione classica, un’opera che si ricollega alla Biblioteca per la sua forza propulsiva che attinge alla memoria del passato per far presa sul presente e proiettarsi nel futuro. È il fulcro del pensiero vivente di una scienza senza nome, che incredibilmente si collega proprio a quella tendenza al bipolarismo diagnosticata da Kraepelin riflettendone la «stessa struttura dialettica, polare» su cui si basano le riflessioni e gli studi di Warburg. La malattia, dunque, come valenza positiva della creatività: è un concetto che ha la sua storia.
Si tratta insomma di una rivalutazione totale del ruolo di Warburg nella storia della cultura, e da questa prospettiva è possibile approfondire e comprendere pienamente il filo che lega i saggi raccolti (alcuni sono ripubblicati qui per la prima volta dopo decenni di oblio; per quasi tutti è la prima edizione in lingua inglese): in primis Giorgio Pasquali, che, a pochi mesi dalla morte dell’amico, ne scrisse un memorabile Ricordo dove mostrava di aver perfettamente intuito la genialità dell’outsider di Amburgo fin nelle pieghe nascoste; Giorgio Agamben, che riscopre l’importanza dell’Atlante Mnemosyne; Settis che si concentra invece, come abbiamo visto, sulla Biblioteca, offrendo un contributo che rimane ancora oggi un punto di riferimento ineludibile. E ancora Kurt W. Forster, Alessandro Dal Lago, Gianni Carchia, Maurizio Ghelardi e altri, tra cui trova posto, naturalmente, un Ricordo di Gertrud Bing, l’intelligente, fedelissima e assai emarginata allieva di Warburg. Ognuno di questi illustri studiosi, a cui Centanni si riferisce e che costituiscono le fondamenta del suo brillante saggio, offre tasselli preziosi per comporre un atlante inedito, tutto da rileggere in una nuova luce: la Memoria di Warburg.