Un uomo, una Biblioteca, un progetto, un antico, uno studioso, un amico per nulla tetro ma «gioviale, brillante, generoso, intraprendente e desideroso di scambi e di contatti». Questo è stato Aby Warburg e così Monica Centanni lo descrive in un volume da lei curato (Warburg e il pensiero vivente, Ronzani Editore, pp. 468, euro 29) che raccoglie alcuni dei saggi più significativi dedicati allo studioso dal 1929, anno della morte, a oggi: dal ricordo che Giorgio Pasquali rivolge all’amico a pochi mesi dalla scomparsa a un saggio sull’ultimo Warburg di Maurizio Ghelardi, curatore e traduttore per Einaudi delle opere dello studioso tedesco, passando per nomi e interpreti come Gertrud Bing – amica, allieva ed erede del progetto warburghiano – Giorgio Agamben, Gianni Carchia, Salvatore Settis e altri studiosi che hanno percorso gli itinerari di questo «signore del labirinto», come lo definì Guglielmo Bilancioni sul manifesto del 15 gennaio 1984.

IL CONTRIBUTO di Warburg alla cultura contemporanea e alla comprensione dell’antico consiste prima di tutto nell’avere infranto ogni barriera accademica e ogni confine disciplinare, aprendo il sapere a sentieri intricati e interrotti ma fecondi, capaci di condurre nel cuore della grecità e nel nucleo del presente attraverso non soltanto libri, analisi, saggi e conferenze ma con l’invenzione di una Biblioteca dalla struttura e dalle intenzioni inedite, una vera e propria «macchina per studiare».
Anche la seconda invenzione di Warburg – Mnemosyne – è un dispositivo di conoscenza ma non è solo questo. Il suo Atlante per immagini costituisce anche uno sprofondamento esistenziale e storico nel mondo del mito, nel movimento della magia e insieme della logica. Mnemosyne non è uno «specchio solipsistico di Narciso, ma piuttosto uno specchio di Dioniso: è lo specchio con il quale il dio bambino si balocca e che va in frantumi per opera dei Titani. Ma in quei frammenti, con l’aiuto di Hermes – il dio della ricerca e dell’interpretazione – Dioniso vede la pluralità del mondo». Siamo sulla linea che da Burckhardt a Nietzsche dissolve ogni classicismo, ogni raffigurazione olimpica e pacificata del mondo greco e mediterraneo, cogliendo invece tutta la forza distruttrice e costruttrice delle divinità ancestrali, delle antiche cosmogonie, di ciò che di più tremendo e insieme fecondo si muove nei dispositivi psichici individuali e nelle strutture collettive delle civiltà.
Warburg diede vita a una scienza inedita, priva di nome, che è stata accostata all’iconologia e all’antropologia ma che non coincide né con l’una né con l’altra. È piuttosto arrivato «il tempo di riconoscere che Warburg, nell’ultimo periodo della sua vita, nel definire l’ambito della sua ricerca di e per Mnemosyne, definisce la sua scienza ‘psicostoria’ e se stesso come uno ‘psicostorico’». E tuttavia è bene intendersi: «storia» qui non è semplicemente la «scienza degli uomini nel tempo» della quale parla Marc Bloch e «psiche» non è un approccio empirico-terapeutico.

PSICOSTORIA è piuttosto un itinerario dionisiaco nell’antico che noi stessi siamo. «Classico o antico» significa infatti «tutt’altro che olimpico, che apollineo» (Pasquali), vuol dire piuttosto «un repertorio di forme e un serbatoio di passioni che non insegnano ai posteri alcuna serenità, ma interagiscono invece con l’osservatore provocando una sana reazione psichica liberatoria, favorendo la disintossicazione delle nostre, personali e attualissime, passioni»
Siamo dionisiaci. Averlo compreso è stato il segreto di Warburg. Se «prima di Nietzsche, il dio dell’ebbrezza e dell’estasi, il dio dello spossessamento di sé e dello specchio in frantumi dell’identità, il dio tremendo delle Baccanti di Euripide era diventato la figurina del Bacco gaudente del pantheon romano, ridotto in secondo piano anche nel repertorio classicista», Aby Warburg ha fatto rinascere Dioniso spossessando se stesso, dissolvendo la propria identità.