Wanna Cry e i legami pericolosi del complesso militare-digitale
Un «attacco hacker globale». È l’allarme rimbalzato di sito in sito e repentinamente ripreso dai media tradizionali, dopo che decine di migliaia di imprese hanno segnalato che i loro computer […]
Un «attacco hacker globale». È l’allarme rimbalzato di sito in sito e repentinamente ripreso dai media tradizionali, dopo che decine di migliaia di imprese hanno segnalato che i loro computer […]
Un «attacco hacker globale». È l’allarme rimbalzato di sito in sito e repentinamente ripreso dai media tradizionali, dopo che decine di migliaia di imprese hanno segnalato che i loro computer e server erano stati bloccati da un programma informatico. Il dito puntato sugli hacker serve però a rassicurare gli utenti di Internet. Che minaccia reale può costituire un gruppo di anonimi «smanettoni» quando hanno di fronte i servizi e le imprese di intelligence più potenti del mondo? Nessuna. Potete dormire sonni tranquilli, questo il messaggio subliminale da veicolare. E poi il riscatto – trecento dollari a server colpito – è stato pagato solo da una parte minima degli utenti interessati (il numero varia dai duecentomila al mezzo milione di dispositivi «infettati»).
Sta di fatto che, subito dopo l’allarme, hanno cominciato a circolare su web commenti e richieste di interventi per mettere sotto controllo la Rete, invitando a rinunciare a parte della privacy, e della libertà di espressione, in nome della sicurezza.
La complementarietà tra la diffusione di virus malefici e quello «securitario» non è una novità. Gli ingenti investimenti che da anni Stati Uniti, Cina, Russia, Germania destinano alla cybersicurezza sono legittimati proprio dalla ricerca di quella stessa sicurezza per un «medium» globale. E tanto più il web diventa centrale nella vita pubblica e privata tanto più manifesta una fragilità che deve vedere la funzione «pastorale» dello Stato. Da qui la richiesta di subordinare privacy e libertà . Un refrain ampiamente ripetuto in questi anni di guerra asimmetrica, terrorismo. Peccato, tuttavia, che le norme tese a monitorare e controllare la Rete colpiscano nel mucchio e spesso a farne le spese non siano né i gruppi terroristi o i cybercriminali, bensì i singoli.
La limitazione della libertà di espressione passa frequentemente attraverso la repressione diretta, ma anche con l’autolimitazione e l’adesione individuale a politicy «politicamente corrette». La cybersicurezza è la manifestazione più evidente di una «società del controllo» dove agisce un complesso militare-digitale che ha affiancato quello novecentesco militare-industriale.
L’affaire di «WannaCry» segnala dunque un cambiamento sotterraneo, quasi impercettibile nello sviluppo contemporaneo della Rete.
Da una parte, c’è la trasformazione di Internet in una inaggirabile infrastruttura globale per gran parte delle attività economiche e comunicative. Il web è, infatti, parte integrante della Realtà, sia che si tratti di business, di futili chiacchiere, di radicale iniziativa politica extraparlamentare o di pervasiva produzione dell’opinione pubblica propedeutica alla sua eventuale colonizzazione.
L’altro aspetto che si impone è che l’attitudine hacker non sempre ha un approdo libertario, «antisistema», ma anche criminale. Fanno dunque bene i mediattivisti, compresi quelli più radicali, come la galassia di Anonymous, a indicare nei gruppi dediti a truffe e ricatti- come quelli di WannaCry – nemici della libertà di espressione e di azione in Rete.
Edward Snowden, dal suo esilio russo, ha però sottolineato un altro argomento. Gli attacchi alla sicurezza della Rete arrivano anche dagli stati nazionali. Il web, cioè, è diventato il teatro di attività criminali e di «guerriglie» condotte da agenzie dell’intelligence contro veri o presunti nemici della sicurezza nazionale, a colpi di programmi informatici che possono mettere in ginocchio imprese, siti istituzionali di paesi «nemici». Non è forse un caso che il programma che ha colpito centinaia di migliaia di computer fosse l’evoluzione di un software sviluppato inizialmente dalla «National Security Agency». La cybersicurezza, cioè, è un groviglio inestricabile di criminalità organizzata e attività al limite dell’illecito, organizzate in segreto dai governi.
I commenti più frequenti sono che il pericolo è cessato e che tutti sono all’opera per ripristinare la tranquillità perduta. C’è da dubitarne. WannaCry è un punto di volta nella Rete. L’ampiezza dell’operazione e l’altissimo numero di server colpiti sono da considerare un punto di svolta nel web. Niente sarà come prima, anche se il flusso dei dati continuerà a scorrere senza fermarsi mai.
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