Visioni

Le scelte della vita? Una partita a flipper tra ragione e sentimento

Le scelte della vita? Una partita a flipper tra ragione e sentimentoWalter Fasano – disegno di Luca Padroni

Porte girevoli Conversazione con Walter Fasano, montatore, complice da sempre del cinema di Luca Guadagnino

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 11 dicembre 2018

Walter Fasano è una girandola. Non lo conosco quasi per niente ma mi sono fatta questa impressione. Ci sono volute settimane prima di riuscire a incontrarci dal vivo. Nel mentre messaggi, mail, suggestioni di vario genere. Fino a oggi. Il duello di mezzogiorno di fuoco. Eccoci qui. Son pronta a sparare. Siamo in un cinese riconvertito giapponese. Quasi nessun altro nella sala. Musica da sottofondo tipo ascensore. Ordiniamo. Chiacchieriamo per introdurci l’uno all’altra. A fine pasto attacco con le domande. E lui controbatte.

La vita è un soffio, ne converrai. Perché dunque non morderla ogni volta come fosse l’ultima, non afferrare ogni occasione, non sfruttare le proprie possibilità nella loro interezza? Si prova a farlo il più possibile ma è impossible acchiapparle tutte. Ti viene in mente, così al volo, una volta che non sei riuscito a cavalcare la tigre e che, dopo, ti sei detto «accidenti, che peccato, quanto mi sarebbe piaciuto vedere com’era»?

Domanda difficile. Sinceramente no. Non potrei mai dire di riuscire a praticare costantemente quello che voglio, al contrario, lo pratico delle volte. Però devo dirti che nei momenti importanti sono contento delle decisioni prese. Rimpianti potenziali ne esistono sempre, potenzialmente poteva essere una cosa buona non raccolta, ma sono piuttosto confortato su questo perché tengo a limitare le mie aspettative.
La sensazione di trovarsi a un bivio è difficile da percepire ma, quando capita, produce un’ebbrezza speciale. Guardando indietro al tuo passato ricordi momenti in cui ti sei sentito così? A cosa hai dato più peso: al cuore o al cervello, per citare Austen, alla ragione o al sentimento?

Mi capitano questi bivi. Studiavo Cinema a Bologna ma avevo fatto domanda al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Era arrivata la raccomandata a Bari ma mia madre e mio fratello non l’avevano presa. Per un gesto di estrema gentilezza da parte del direttore della didattica, Alfredo Baldi, mentre ero a Bologna mi chiamarono alle nove del mattino e mi chiesero perché non mi ero presentato. Nella casa bolognese che condividevo con quattro studentesse americane della Brown University, il bagno davanti a me, la cucina a sinistra, il bagno a destra, mentre lui mi parlava capivo chiaramente di avere tre scelte, una era quella del bagno, più metaforicamente chiara, dall’altro lato la possibilità di prendere le redini di questa situazione, invece di dire «cazzo, è andata così questa volta». Per cui ho chiesto all’esimio dottor Baldi se potessi ancora andare a fare l’esame, in quel momento. Lui ha detto di sì. Ho intrapreso una corsa mucciniana verso la stazione, per prendere il primo treno per Roma, venti minuti dopo. Tre ore e mezzo di treno, all’una sono arrivato, ho preso la metropolitana fino alla fermata Subaugusta, neanche lo sapevo dov’era il Centro Sperimentale… Ho fatto lo scritto in un’ora. Tre tracce: ho scelto «il ruolo del montaggio nel processo creativo del film». Mi ero appena infatuato della nouvelle vague, Ferrara, Wong Kar-wai. Sono passato, sono tornato a fare l’orale, poi tutto è andato avanti. In quel momento ho preso la porta giusta.

E quindi prendi le decisioni di testa?

Credo di essere una persona peggiore quando decido di fare le cose per bene. Quando faccio mezzo passo indietro faccio le cose meglio: osservo col cuore. Quando sono incasinato sbaglio. Per festeggiare l’esame al Centro Sperimentale ricordo che feci una partita a flipper dove raggiunsi un punteggio stratosferico. La presi come un segno positivo.

Moltissimi film, moltissimi romanzi hanno posato l’attenzione sul concetto di turning point, i momenti di svolta, attimi, giorni, poche ore in cui si concentra tutto il vissuto che può essere, con una piccola azione, spostato in una direzione o in quella opposta, può virare a desta o a sinistra, può tendere al bene o al male: prendendo una sola decisione si muta il corso della propria esistenza a venire. Hai dei rimpianti in merito? Ci sono volte in cui avresti voluto lanciare il sasso e nascondere la mano?

Credo, essendo un censore di me stesso, di tendere a minimizzare i danni fatti sulla vita degli altri. Sono, anche, un ottimo assolutore di me stesso. Togliendomi di centralità i miei rimpianti per qualcosa di brutto fatto sono ordinari. Quelli più profondi sono dovuti a circostanze condivise e quindi non riesco a farmene una colpa.

Ci sono incontri con persone che racchiudono l’essenza della svolta. Quanti ne hai fatti nella tua vita? Quanti e quali hai voglia di raccontarci?

Tantissimi e molto importanti. Non voglio fare un torto a nessuno, ma l’incontro con Guadagnino è fondamentale oltre ad essere uno dei più divertenti, nella modalità dell’incontro. Quando trovi una anima gemella: siamo persone molto diverse con affinità su cose profonde. È stato un grande incontro. Spero anche per lui sia stato importante. Ho imparato un paio di cose sulla proiezione di se stessi e come collocarsi come creatori artistici nel mondo. Luca pensa molto lontano, e questo lo avvicina alla profezia, ma allo stesso tempo non sono mai basate su una arbitraria volontà di potenza ma su una combinazione di possibilità reali, in questo senso l’imprenditoria, l’alta imprenditoria di chi vede una apertura, una possibilità reale di successo. E non è soltanto una fiducia nelle proprie possibilità, sicuramente serve una componente di megalomania. Le grande epifanie sono importanti ma non vorrei fare una mistica delle grandi epifanie, esiste anche il momento del quotidiano che non è da svalutare stando sempre in attesa delle grandi epifanie, è come chi aspetta il principe azzurro o la donna del cuore. Invece si tratta di mordere le cose: a volte non ti è stato insegnato, per qualche ragione lo hai attutito per ragioni caratteriali o circostanze della vita, ricordarselo ogni tanto non fa male, ecco.

Un montatore (hai lavorato con Luca Guadagnino, Dario Argento, Marco Ponti, Maria Sole Tognazzi, Lucio Pellegrini, Ferzan Özpetek) suddivide la giornata di lavoro in momenti di passaggio cruciali in cui il film si modifica spostando un unico frame in avanti o indietro, attraverso la scelta di usare un ralenti, un fondue al nero, uno stacco in asse. Devi avere acquisito una certa disinvoltura rispetto a scelte che ogni volta sono così fondanti. Riesci ad applicare la stessa apertura mentale nella vita personale, privata?

Purtroppo quella è una cosa che ti porti dietro e quindi è un problema più che un vantaggio: quando prendi 450 decisioni al giorno quando la sera poi ti viene chiesto dove vuoi andare a cena vai completamente in tilt. Il vero problema è che esaurisci tutto il campo delle combinazioni del possibile lì, per lavoro. Una delle cose più difficili nel montare film, e forse anche nella vita, è come iniziare una scena: una volta iniziata si tratta di esaminarne una coerenza interna che però nasce da una premessa, si tratta di avere una grande capacità di immaginazione e combinazione per tenere sempre delle porte aperte, perché uno dei grandi insegnamenti di Roberto Perpignani è quello di non affezionarsi a delle scelte prese, ma rimanere sempre aperti. Sul lavoro riesco a essere piuttosto sbloccato, nella vita… Ci sono degli eventi che gli altri fanno come masticassero chewing-gum… Come gli sposi seriali, quelli che si sono sposati sette volte nella vita o quelli che cambiano casa ogni tre anni. Ho un’ammirazione per chi riesce a de-radicarsi con tanta facilità. Io non riesco

Parliamo di cinema. La scena esemplare dei momenti di svolta è il finale di Casablanca (Michael Curtiz, 1942): il personaggio di Rick Blaine rappresenta la rinuncia alla felicità personale in nome di quella dell’oggetto amato. Qual’è la tua posizione in merito? Cosa avresti fatto tu? Preferiresti essere Bogart o la Bergman?

Mi piace da morire se qualcuno decide per me, soprattutto dove andare a cena. Nonostante abbia uno spiccato senso di volontà mi piace anche essere agito, per cui a sorpresa potrei dirti la Bergman ma se dovessi scegliere cosa fare al posto di Bogart farei sicuramente quello che fa Bogart, uguale uguale. L’altra opzione è più noiosa. Bisogna vedere poi il giorno dopo cosa succede quando ti svegli. Mi piacciono i gesti forti, sono quelli che rimangono. Anche solo nella riflessione successiva. Il gesto è importante. Mi piace di più liberare che potenzialmente rischiare di opprimere, che è nella natura dei rapporti vincolanti, inevitabilmente.

Ancora cinema. Il laureato (Mike Nichols, 1967): la corsa finale, la macchina si rompe, Benjamin (Dustin Hoffman) mosso dalla disperazione sa che ha poco tempo e allora corre corre corre, fino ad arrivare alla chiesa fuori tempo massimo. Dalla vetrata in alto, attraverso il vetro, urla il nome dell’amata (che però è la figlia della sua ex amante agé): «Elaine!». Tutti pensano: è troppo tardi, si è sposata con un altro, non darà ascolto all’assurdo richiamo. E invece no, l’amore trionfa. Con quale dei protagonisti ti identifichi? Quali azioni compiresti tu, diversamente da loro?

Visto la mia età, se fossi un po’ più sexy sarei Mrs.Robinson, purtroppo però non sono sexy come Anne Bancroft e meno rapace di lei: Dustin non è che fosse così sexy quindi c’è un minimo di rapacità nell’andarselo a prendere, non è il bulletto più prevedibile da sedurre. Nel tempo ho rivalutato Hoffmann come attore e mi piace un po’ meno quindi essenzialmente i suoi personaggi li detesto sempre abbastanza e desidero i loro fallimento. Anche ne Il maratoneta lo avrei lasciato sotto i ferri del dentista. Qui lo lascerei senza donne. Però sai Il laureato è del 1967: era importante che se ne andassero insieme: la fuga dei due giovani apre le porte al Sessantotto. Ho letto un libro sul montaggio di questo film. A posteriori, il montatore Sam O’Steen dice che è stato lui a proporre Simon and Gartfulnkel per le musiche a Mike Nichols. Quindi penso che mi ritroverò tra vent’anni a dire che tutto quello che di buono c’è nei film che ho fatto è stata una mia idea: molto liberatorio. «La Swinton l’ho fatta conoscere io a Guadagnino»: bugia.

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