«Brindiamo a ciò che non meritiamo». Così esorta Thom Yorke a pochi versi dall’inizio di Wall Of Eyes, riprendendo il titolo di una tela dipinta a quattro mani con Stanley Donwood, co-autore della copertina di questo nuovo album dei The Smile, così come del precedente.

È proprio il tipo di brindisi che ci si aspetterebbe da Thom, no? L’auspicio perfetto per il worst case scenario sotteso nei testi del secondo lavoro in trio con Jonny Greenwood e Tom Skinner. Un incipit che fa il paio con il fatalismo simboleggiato dall’impossibilità di cambiare direzione dopo il fulmineo pensiero suicida maturato dal protagonista di Bending Hectic: «Siamo andati oltre il limite», riconosce quasi con fair play, mentre la sua decapottabile d’annata vola da «una discesa a strapiombo lungo le montagne italiane».

È LA SCENA madre dell’album, che Greenwood correda di una colonna sonora a metà tra Krzysztof Penderecki e i Genesis di Harold The Barrel (precoce caso di suicidio nella letteratura rock col suo «running jump»).

Si direbbe che il tema del salto nel vuoto ben si leghi alle ambientazioni italiche, considerando che in Friend Of A Friend, poche tracce prima, l’alter ego letterario di Yorke era già caduto da uno dei tanti balconi resi celebri dal nostro lockdown, ancora accompagnato da archi sempre più sgomenti, che irretiti dall’aura degli Abbey Road Studios inseguono gli echi di A Day In The Life. È questa, peraltro, la traccia più affascinante dell’intero lavoro, anch’essa in bilico, al limite della discronia ritmica ma cullata da un sublime pianoforte suonato ancora da Greenwood.

Ma il peggio è sempre in agguato, e altre minacce si annidano nei versi in cui le peggiori previsioni sembrano sempre sul punto di avverarsi, come quando in Under Our Pillows Yorke ripete ossessivamente «Don’t let them take me».

LA SUA VOCE, sempre più acusmatica e spettrale, si muove in perfetto contrappunto con il drumming pulito di Skinner — che si conferma versatile polistrumentista al synth — e soprattutto con i labirinti frippiani delle chitarre di Greenwood: le sue linee in Read The Room e Under Our Pillow hanno la stessa ansia dei versi del collega, e Bending Hectic potrebbe descrivere altrettanto bene il suo disturbante bending sulla prima corda, verosimilmente scordata a mano in tempo reale.

E fin qui, tutto da programma, No surprises. Anche perché in fondo molti brani erano già trapelati durante i live. Qualche sentore di novità, in realtà, lo si può cogliere nella produzione di Sam Petts-Davies, subentrato a Nigel Goldrich, e negli arrangiamenti per la London Contemporary Orchestra curati ancora da un Greenwood in stato di grazia.

Come per Damon Albarn, l’agenda compositiva di Thom e Jonny resta magnificamente immutata attraverso i cambi di formazione, e Walls Of Eyes, superba prova autoriale e di performance, dà luce propria a The Smile, allontanando per un attimo la domanda che tutti in realtà siamo destinati a porci dopo l’ascolto: perché non è un album dei Radiohead?