Wadada Leo Smith, nel pantheon fra duetti e libertà
Note sparse A chiudere le celebrazioni per l'ottantesimo compleanno del trombettista, la finlandese Tum pubblica due nuovi box
Note sparse A chiudere le celebrazioni per l'ottantesimo compleanno del trombettista, la finlandese Tum pubblica due nuovi box
A chiudere le celebrazioni per l’ottantesimo compleanno del trombettista, la finlandese TUM pubblica, dopo una messe di sei uscite e ventitré cd tra cui è d’obbligo segnalare almeno A Love Sonnet For Billie Holiday, con Vijay Iyer e Jack DeJohnette e The Chicago Symphonies, quadruplo con Henry Threadgill, John Lindberg e ancora DeJohnette, altri due box della musica di Wadada Leo Smith. Partiamo dai cinque dischi di The Emerald Duets: la tromba di Wadada in dialogo con quattro batteristi, Pheeroan AkLaff, Andrew Cyrille, l’olandese swingante Han Bennink e, in due album, DeJohnette, anche al pianoforte e al Fender Rhodes. Una pioggia di musica lirica, libera, avventurosa e rigorosa al tempo stesso, capace di spalancare mondi: dalle fragranze Don Cherry del primo volume alle dediche di Havana, Cuba con Cyrille (tracce per Jeanne Lee, Donald Ayler, Tomasz Stanko, Mongezi Feza), Smith affresca un grande pantheon della musica creativa e stacca inni a un cielo che non smette di minacciare di crollarci addosso: l’unica soluzione forse è continuare a cantare, a intonare la propria libertà, perché la poesia, in senso lato, resta l’unica rivoluzione possibile.
Nel quinto e ultimo disco si torna alla formula tromba e batteria per una lunga suite di quasi trentotto minuti, Paradise: The Gardens And Fountains
A MOVENZE circospette e canzoni da altre galassie si alternano schermaglie da swing destrutturato e astrazioni impressioniste come nelle scorribande con Bennink, per poi variare mood e timbri con il primo dei due volumi condiviso con Jack Dejohnette, dove entrambi si alternano anche al pianoforte. L’incipit di Sandalwood and Sage è satura di un languore da fine del mondo, sobria nel suo essere drammatica, ebbra di spezie orientali: si ascolta rapiti. Lo stupore prosegue con Freedom Summer: Wadada sugli ottantotto tasti trova quello bianco per la nota nera, il batterista è un griot che usa i tamburi al posto della voce. Nel quinto e ultimo disco si torna alla formula tromba e batteria per una lunga suite di quasi trentotto minuti, Paradise: The Gardens And Fountains, dove chiudendo gli occhi quel cielo che prima prometteva tempesta ora pare dischiudersi a una salvezza. Un’altra se possibile ancora più ricca cornucopia è quella dei dodici quartetti d’archi racchiusi in 7 cd, eseguiti dal RedKoral Quartet, con alcuni ospiti tra cui segnaliamo Thomas Buckner alla voce. Musica su cui tornare a più riprese, esplorandone l’alfabeto e i mondi, come alla scoperta di una civiltà del futuro remoto.
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