Vuringa, la strage infinita dei ranger
Una terza guerra mondiale combattuta a pezzi, con crimini, massacri e distruzioni»: così Papa Francesco descriveva tre anni fa la miriade di guerre locali che colpiscono tante parti del mondo. […]
Una terza guerra mondiale combattuta a pezzi, con crimini, massacri e distruzioni»: così Papa Francesco descriveva tre anni fa la miriade di guerre locali che colpiscono tante parti del mondo. […]
Una terza guerra mondiale combattuta a pezzi, con crimini, massacri e distruzioni»: così Papa Francesco descriveva tre anni fa la miriade di guerre locali che colpiscono tante parti del mondo. Piccolo guerre, spesso dimenticate dalla grande stampa e dall’opinione pubblica, ma che ugualmente distruggono vite e cose, facendo arricchire i trafficanti d’armi.
Tra queste guerre «dimenticate» vi è quella contro chi difende l’ambiente: non ci sono dichiarazioni di guerra con nemici ben individuati né veri eserciti che si contrappongono, ma ogni anno si calcola che vengano uccisi nel mondo circa 200 esponenti del movimento ambientalista, impegnati nella salvaguardia della natura contro chi vorrebbe distruggere gli ecosistemi più a rischio del Pianeta. E poi ci sono i ranger: solo dai bracconieri ne vengono uccisi ogni anno un centinaio.
Pochi giorni fa l’ennesima strage nella Repubblica Democratica del Congo e precisamente nel Parco Nazionale del Virunga, la più antica area protetta africana, nata nel 1925 per difendere una biodiversità straordinaria con gli ultimi gorilla di montagna: 13 giovani guardie, il più piccolo aveva solo 23 anni, sono rimaste uccise durante un drammatico attacco che ha provocato anche la morte di 4 civili e il ferimento di altri 3 ranger ora in condizioni critiche.
Negli ultimi 20 anni, per difendere il Parco del Virunga sono morti quasi 200 ranger: nell’aprile del 2018 ne erano stati uccisi 5 e nel 2014 lo stesso direttore del Parco, il paleontologo e conservazionista Emmanuelle de Merode, era stato ferito durante un’aggressione da parte di una banda di uomini armati. Su queste montagne avvolte nella nebbia fu uccisa Dian Fossey, probabilmente per mano di quegli stessi bracconieri che combatteva e che, spesso, erano – e sono – il braccio armato di insospettabili criminali interessati alle tante risorse naturali del territorio protetto.
L’unica colpa di questi «eroi loro malgrado» è aver cercato di difendere uno dei posti più importanti al mondo per la biodiversità, inserito nel 1975 nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità (World Heritage Site) dell’Unesco. Sono 780 km quadrati di foreste e savane, vulcani attivi e laghi, purtroppo teatro di una furiosa battaglia tra interessi economici e conservazione della natura: la criminalità diffusa e i signori della guerra, che fanno affari su conflitti che si trascinano da decenni, si finanziano attraverso il bracconaggio su specie rare e lo sfruttamento di risorse naturali (la legna delle foreste dei vulcani viene illegalmente trasformata in prezioso carbone). Il tutto a discapito di progetti rivolti alle comunità locali per la protezione di fauna, flora e habitat sin dal 1960.
È incredibile che si arrivi a sacrificare la propria vita per poter svolgere un lavoro così importante come salvaguardare animali in via di estinzione, per cercare di arginare la follia dell’uomo capace di distruggere tutto ciò che lo circonda e cancellare così, in pochi anni, il frutto di milioni di anni di evoluzione pur di procurarsi beni effimeri. Oggi più che mai dobbiamo difendere il patrimonio naturale del Pianeta e le aree protette che lo conservano: combattere gli interessi illegali e il bracconaggio è una sfida che non possiamo perdere se vogliamo proteggere la biodiversità nel mondo per noi e per i nostri figli.
* vicepresidente Wwf Italia
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