Vox Thalassa, condannati prima del processo
Giustizia Il caso di due migranti accusati di aver sollevato la rivolta per non essere riportati in Libia e già dichiarati colpevoli da Salvini all'attenzione della Corte dei diritti umani di Strasburgo
Giustizia Il caso di due migranti accusati di aver sollevato la rivolta per non essere riportati in Libia e già dichiarati colpevoli da Salvini all'attenzione della Corte dei diritti umani di Strasburgo
Ricordate quelli che «dovevano scendere tutti in manette», dalla nave Diciotti (luglio Trapani, non agosto Catania)? Non sono scesi in manette, ma pochi giorni dopo due dei naufraghi portati dalla Diciotti sono stati arrestati e da luglio nel silenzio generale sono in carcere a Trapani. Accusati di violenza, minacce e favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Sono un sudanese e un ghanese.
Se ben ricordate, non sono erano stati salvati dalla Diciotti ma dal mercantile italiano Vox Thalassa che però poi li stava riportando in Libia. Quando i profughi se ne sono accorti è scoppiata una protesta – o una mezza rivolta? – a bordo. A un certo punto, nella notte, il comandante, dichiarandosi minacciato dai migranti, ha chiesto e ottenuto a Roma di mandare un’altra unità navale sulla quale trasbordarli. Quindi ha rifatto rotta verso Nord e il gruppo dei 67 ex naufraghi è poi salito sulla Diciotti. Salvini non voleva farli sbarcare, o meglio «solo in manette». In quella prima occasione di «caso Diciotti» è stato Mattarella a intervenire su Conte per lo sbarco. La polizia italiana era già salita a bordo per fornire elementi alla Procura. Dopo lo sbarco in Italia due di loro, Ibrahim A. e Amid T .- già indagati a bordo – sono stati arrestati.
Non ci sono prove di violenza da parte loro, e oltretutto i due potrebbero invocare di aver agito per stato di necessità, cioè per evitare di essere riportati nei lager. Nessuno si è occupato di loro. Fin a quando pochi giorni fa è uscita la notizia che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo esaminerà il loro ricorso contro Salvini e Toninelli perché li hanno definiti colpevoli prima del processo (articolo 6 paragrafo 2 della Cedu per il quale «ogni persona accusata di un reato si presume innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata»). È vietato alle autorità pubbliche di rilasciare dichiarazioni dalle quali emerga un anticipato giudizio di colpevolezza.
Apparentemente può sembrare una raffinata questione di correttezza politica del linguaggio, essere definiti facinorosi o delinquenti da Salvini e Toninelli cosa volete che sia rispetto alla perdita della libertà e al rischio di anni di carcere seguiti da espulsione?
Ma la questione che la Corte Europea ha ritenuto già almeno parzialmente fondata può avere influito sul fatto stesso che sono stati arrestati (il tweet che li identificava come colpevoli è del 10 luglio, l’arresto del 14). Sempre in quelle circostanze, Salvini dichiarava che «O hanno mentito gli armatori denunciando aggressioni che non ci sono state e allora devono pagare, o l’aggressione c’è stata e allora i responsabili devono andare in galera». E qui si viene alla sostanza delle accuse per cui i due sono in carcere da luglio e verranno processati il 28 prossimo, rischiando anni di carcere. Negli atti raccolti dalle indagini ci sono dichiarazioni di un marinaio e di un comandante, che parlano di minacce, e non c’è nessun referto di violenze. Non c’è però la dichiarazione dell’armatore che al giornale La Verità (!) diceva che «la vicenda è stata ingigantita, non c’è stata nessuna rivolta». È logico che l’equipaggio e la dirigenza di Vox Talassa si sentano sotto pressione perché indirettamente minacciati da Salvini.
È già emerso il probabile equivoco sul gesto di tagliare la gola fatto da alcuni migranti che chiedevano di non essere riportati in Libia. Non era una minaccia, mimava quello che rischiavano in Libia o era una minaccia d autolesionismo. Il processo si terrà con rito abbreviato. I due detenuti hanno recentemente revocato l’avvocato d’ufficio e si sono rivolti a un altro avvocato, consigliato da altri detenuti.
Ma con il rito abbreviato non c’è la possibilità di discutere le testimonianze. Il problema è che in tutti questi mesi i due accusati non hanno probabilmente avuto contatti con nessuno in grado di consigliarli e sostenerli. Non hanno ancora chiesto asilo, come fanno tutti, non hanno compreso il rischio del processo abbreviato, non hanno ancora argomentato sullo stato di necessità, che secondo la legge, li assolverebbe persino se davvero avessero esercitato violenze. Se hanno capeggiato la protesta che ha evitato a 67 persone di essere riportate nei lager libici come dovrebbero essere considerati? Favoreggiatori della propria e altrui «immigrazione clandestina» o eroi civili?
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