Lavoro

Voucher e appalti, il decreto convertito in legge

Voucher e appalti, il decreto convertito in leggeLa segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso

L'ok del Senato La Cassazione adesso dovrebbe annullare il referendum del 28 maggio. La festa della Cgil: «Frutto della nostra mobilitazione, ora lavoriamo per la Carta dei diritti universali»

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 20 aprile 2017

È passato: il Senato ha approvato in via definitiva il decreto che abroga i voucher e reintroduce la responsabilità solidale negli appalti, convertendolo quindi in legge. L’ok della Camera era arrivato il 6 aprile scorso, ieri sera quello di Palazzo Madama con 140 sì, 49 no e 31 astenuti. La Cgil, in presidio fin dal mattino in Piazza del Pantheon, ha festeggiato la notizia, e la segretaria Susanna Camusso ha spiegato di «immaginare che a questo punto la Cassazione non faccia più svolgere il referendum del 28 maggio, visto che l’intervento legislativo corrisponde ai due quesiti proposti».

Il decreto era stato varato dal Consiglio dei ministri il 17 marzo scorso, per dare risposta ai quesiti approvati dalla Corte costituzionale l’11 gennaio (la Consulta aveva bocciato un terzo quesito, quello sulla reintroduzione della tutela forte dell’articolo 18). La Cgil aveva raccolto l’anno scorso 3,3 milioni di firme a sostegno dei referendum, e oggi raccoglie i frutti di una decisione che alla lunga ha funzionato.

«Adesso – ha spiegato Camusso intervenendo subito dopo la notizia dell’approvazione – la nostra mobilitazione continua per la Carta dei diritti universali del lavoro», e ha dato appuntamento ai prossimi eventi in programma: il 25 aprile, l’1 maggio a Portella della Ginestra (luogo scelto quest’anno per la manifestazione con Cisl e Uil), e sabato 6 maggio in Piazza Don Bosco a Roma. Uno di quei luoghi della «periferia» del Paese che il sindacato ha deciso di frequentare sempre di più per le sue manifestazioni.

«È un risultato importante – ha detto Camusso – frutto della nostra mobilitazione. Da lungo tempo non si cancellavano in Italia forme di precarietà. E possiamo dire che senza buoni-lavoro venduti in tabaccheria il Paese è un po’ meglio di quello dei giorni scorsi».

«Le dichiarazioni di voto di oggi hanno dimostrato come molto poco si conosca del lavoro nel nostro Paese e come se ne parli facilmente a sproposito – ha proseguito la leader Cgil – È chiaro che c’è chi pensa solo a un versante, quello di infinite flessibilità e di lavori meno costosi. Fioriscono proposte di legge come fossero colture primaverili. Ho sentito ridire ancora oggi che in agricoltura sono necessari i voucher, ma l’agricoltura è una cosa seria, così come si è detto che il turismo è rimasto senza strumenti per affrontare la stagionalità senza conoscere le infinite possibilità contrattuali esistenti».

Polpetta più che indigesta per Maurizio Sacconi (Ap), che in Senato guidava la schiera del no al provvedimento: «Ho bene impresso nella mia memoria – ha spiegato – il referendum sul quesito ben più insidioso con il quale si chiedeva agli italiani nel 1985 se volessero oltre 300 mila lire in più nella busta paga. L’allora presidente del Consiglio, Bettino Craxi, confidò che una campagna di verità avrebbe svelato l’illusione ottica della spirale inflazionistica. Così fu e ne vennero anni di sviluppo e di modernizzazione dell’Italia. Ricordo nondimeno quando Marco Biagi mi convinse ad introdurre la prima sperimentazione di buoni prepagati per facilitare l’emersione di molti spezzoni lavorativi. Ora dovremo porre rimedio al vuoto che si produce, e la soluzione dovrà essere semplice quanto i buoni». Sacconi ha quindi aggiunto di aver depositato un ddl «firmato con colleghi di maggioranza e di opposizione dedicato a definire il “lavoro breve” e la sua regolarizzazione accanto alla liberalizzazione del lavoro intermittente».

Anche da parte del Pd, che pure è riuscito a ottenere in entrambi i rami del Parlamento l’ok alla misura senza la fiducia, si chiedono adesso strumenti sostitutivi per la regolazione del lavoro occasionale: «Esempi positivi sono i mini-jobs tedeschi o gli chêques francesi», dice Stefano Lepri.

Scontente le associazioni degli imprenditori: secondo gli agricoltori di Coldiretti «si dà l’addio al lavoro nei campi per 50 mila studenti». Per gli artigiani di Cna «si è cancellato uno strumento utile alle imprese». Per gli studi dei consulenti del lavoro, addirittura «così si aiuta il lavoro nero».

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