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Referendum, le conseguenze pericolose del Sì

Referendum, le conseguenze pericolose del Sì

Al voto La centralità del Parlamento non viene ristabilita dall’esito referendario, ma quest'ultimo segna una direzione di marcia per i provvedimenti futuri, in specie sulla forma di governo e di Stato.

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 20 settembre 2020

Il referendum popolare costituzionale – l’aggiunta di confermativo non ha alcun supporto costituzionale e normativo – non ha quorum. Quindi ogni decisione diversa dal No da parte di chi non condivide questo taglio dei parlamentari (astensione dal voto, scheda bianca o nulla), qualunque sia la motivazione, nobile o opportunista che sia, è irrilevante. Nel caso concreto, stando ai sondaggi pubblicati, è un sostegno diretto alla conferma di una revisione costituzionale incostituzionale, per violazione di un «principio supremo: l’uguaglianza iniziale dei cittadini intangibile secondo la sentenza della Consulta 1146/1988 anche da norma di rango costituzionale.

Mai, come in questa occasione, anche se atei o agnostici razionalisti, si apprezza l’evangelico «Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno». La centralità del Parlamento non viene ristabilita dall’esito referendario, ma segna una direzione di marcia per i provvedimenti futuri in specie sulla forma di governo e di Stato. Un Parlamento, che si autoriduce con una maggioranza del 97% alla quarta definitiva approvazione, per consacrare una nuova maggioranza di governo, diversa, ma non alternativa, rispetto a quella delle tre precedenti votazione, rinuncia anche formalmente alla forma di governo parlamentare.

Non solo, la modifica degli articoli 56 e 57 della Costituzione ha diretto ed immediato effetto sui valori assoluti dei quorum di maggioranza previsti da altri articoli, quali l’83 (elezione del Presidente della Repubblica), il 90 (messa in stato d’accusa del Capo dello Stato), il 104 (elezione dei membri laici del Csm) e il 135 (composizione della Corte Costituzionale).

Con la legge elettorale vigente, il cosiddetto Rosatellum, peggiorata in senso maggioritario dalla legge 1/2019, pensata apposta per la riduzione dei parlamentari (come l’Italicum per la deforma costituzionale Renzi Boschi), una coalizione con il 30-35% dei voti omogeneamente distribuiti sul territorio nazionale ha la maggioranza assoluta del Parlamento in seduta comune.

L’esecutivo diventerà ancora di più l’organo che traccia l’indirizzo politico e il Presidente del Consiglio, leader o garante della maggioranza, avrà una posizione sovraordinata allo stesso Presidente della Repubblica. Questo parlamento è ancora plurale, anche se squilibrato (dov’è la sinistra?). Ma in caso di vittoria del Sì e di elezioni anticipate il prossimo capo dello Stato sarebbe espressione della nuova omogenea maggioranza, che nominerà 9 membri su 15 della Corte Costituzionale.

L’accesso diretto alla Consulta da parte del singolo parlamentare, declamato, non è stato concretamente assicurato. E nel silenzio dei media la Corte, respingendo il ricorso della Basilicata sul referendum, ha affermato che una regione può impugnare una revisione costituzionale non ancora in vigore. Un contentino dato a termine di impugnazione scaduto, ma invocabile finché la Corte non sarà normalizzata con la vittoria del Sì. Dipenderà dal futuro Presidente. Speriamo.

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