«Voodoo», nella ruggine polverosa il grido di dolore della natura
A teatro Nell'ambito della quinta edizione del festival Buffalo al Macro, lo spettacolo di Masque Teatro a firma Lorenzo Bazzocchi
A teatro Nell'ambito della quinta edizione del festival Buffalo al Macro, lo spettacolo di Masque Teatro a firma Lorenzo Bazzocchi
Questa volta la natura è protagonista assoluta. Umana e vegetale, trionfa a scapito dei superbi macchinari scenografici degli storici spettacoli di Masque Teatro. In Voodoo, nuova creazione del gruppo romagnolo a firma Lorenzo Bazzocchi, solo un albero rinsecchito segna la scena e calamita a sé l’energetica figura di donna androgina, un’immagine che lega immediatamente il pubblico al flusso sonoro e al movimento incessante lungo quel rettangolo polveroso, resa ancora più forte dal respiro dello spazio museale. L’opera è stata infatti ospitata al Macro (Museo di arte contemporanea di Roma), nell’ambito della quinta edizione di Buffalo, il festival diretto dal coreografo Michele Di Stefano, frutto residuo di una progettualità triennale del Teatro di Roma, oggi impensabile con la «nuova» gestione, che ha partorito cartelloni molto lacunosi. La visione di Di Stefano ha portato a una sorta di invasione del luogo, che è stato utilizzato da artisti e spettatori dal piano terra al terrazzo, restituendolo alle arti performative, liberandole proprio dalle costrizioni di spazi teatrali inadatti.
LA SEMPLICITÀ dell’impianto di Voodoo bene si innesta nell’architettura dell’atrio del Macro di via Nizza, nella trasparenza delle vetrate e nella luminosità offuscata dall’invecchiamento del soffitto, e quel pezzo di pavimento segnato dal rettangolo lungo una decina di metri diventa subito un paesaggio dell’anima. Quando la performer inizia il percorso, tentando di alzarsi dal cubo che la trattiene, su quella lingua di ruggine polverosa, i suoi gesti ripetuti con veemenza diventano i nostri gesti. Una sequenza di movimenti liberatoria agita con energia controllata e calibrata per 30 minuti, il tempo necessario a Eleonora Sedioli per raggiungere l’albero rinsecchito. Sotto al quale sfinita alla fine giace.
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