Indagare su crimini a prima vista insignificanti per svelare ciò che può invece minacciare un’intera società. È un lavoro minuzioso quello che da oltre un decennio compie lo scrittore, e ex giornalista tedesco Volker Kutscher attraverso una serie di noir che raccontano il lento precipitare della Germania di Weimar verso il nazismo. Al centro di queste storie – le prime tre indagini pubblicate da Feltrinelli a partire dal 2010, la quarta, Il tempio del piacere (pp. 632, euro 22) ora in libreria per Sem – un poliziotto di provincia, reduce dalla trincee della Prima guerra mondiale, Gereon Rath, e un’aspirante detective, Charlotte Ritter, che sfidando i tabù dell’epoca vorrebbe sfidare i colleghi maschi alle prese con l’ondata di violenza che investe Berlino. Nel caso di quest’ultimo romanzo, uscito alla vigilia del ritorno della serie Babylon Berlin, ispirata ai libri di Kutscher – la quarta stagione da domani su Sky -, l’arrivo di Hitler alla Cancelleria è annunciato da una serie di misteriosi assassinii che sembrano ruotare allo stesso tempo attorno ad una regione della Polonia dove vive una folta comunità tedesca e ad un locale del centro della capitale dove i tedeschi affogano nel piacere le loro inquietudini.

Crisi economica, democrazia fragile, crescita dell’estrema destra: a fare da sfondo alle indagini di Gereon Rath è uno scenario che sembra almeno in parte richiamare l’attualità di molti Paesi europei, non ultimo l’Italia. I suoi romanzi evocano una stagione che parla al presente?
Quando ho cominciato a pensare al ciclo di romanzi di cui Gereon è protagonista, quasi vent’anni fa, non pensavo principalmente alla crescita della destra radicale. Al centro delle mie riflessioni c’era piuttosto il modo in cui in Germania le cose erano rapidamente precipitate negli anni Trenta. Volevo capire come fosse stato possibile che la democrazia tedesca si fosse trasformata nello spazio di pochi anni nella peggiore delle dittature. Mi interessava soprattutto far emergere quanto i tedeschi dell’epoca non avessero riconosciuto il pericolo che montava: analizzare come chi si trova al centro della deriva di una società, spesso non se ne renda conto. Rispetto ai paragoni con l’attualità, pensavo più alle questioni ambientali ed economiche, alla distruzione della natura e al dilagare del capitalismo. All’epoca non avrei potuto immaginare quanto in realtà anche oggi le democrazie occidentali siano di nuovo in pericolo. Perciò spero che queste storie possano servire in qualche modo a segnalare il rischio che corriamo e aiutino a capire che la democrazia va difesa ogni giorno.

La Berlino che mette in scena sembra camminare inconsapevolmente in equilibrio sul baratro: mentre si annuncia la minaccia nazista la città è piena di vita, di locali, di musica e di sensualità. Quell’allegria voleva essere una sorta di antidoto al peggio?
Certamente si ballava a perdifiato per scacciare il pensiero della crisi economica che stava colpendo la società tedesca. Anche se forse i berlinesi non avevano un’idea precisa del pericolo che stava arrivando. Lungo il decennio nel quale ho ambientato le mie storie credo che si avesse costantemente voglia di festeggiare soprattutto perché era finito un conflitto terribile: la Grande guerra aveva colpito duramente il Paese come l’intera Europa. In questo senso, non dobbiamo dimenticare che gli anni Venti nel Vecchio continente sono stati soprattutto il periodo di un lungo dopoguerra: più che all’avvenire, si guardava con paura al recente passato.

Il commissario della polizia di Berlino Gereon Rath, al centro di questa serie, non può certo essere definito come un uomo di sinistra, anzi, inizialmente ai suoi occhi i gruppi di comunisti e di nazisti che si scontrano per le strade appaiono uguali. Con il tempo si renderà però conto che la minaccia per la Germania arriva dagli uomini di Hitler. Il profilo del poliziotto le è servito per raccontare il punto di vista del «tedesco medio» dell’epoca?
Gereon Rath è un piccolo borghese. Non l’ho pensato in modo deliberato come un eroe, moralmente e politicamente incrollabile, perché molto raramente nella realtà le persone sono davvero così. È seducente, affascinante, ma è soprattutto capace di imparare. E volevo mostrare proprio questo processo di apprendimento che lo caratterizza; certo un processo che come accadde per tanti tedeschi dell’epoca arrivò spesso troppo tardi. Per il suo personaggio, come per l’intero ciclo di romanzi, mi sono ispirato soprattutto ad un paio di film, Era mio padre di Sam Mendes (2002) e M-Il mostro di Düsseldorf di Fritz Lang (1931). Senza volerlo, raccontavano entrambi una storia simile, malgrado si trattasse rispettivamente dei gangster americani e della Berlino della Repubblica di Weimar. Volevo scrivere una storia che potesse intrecciare questi due mondi, e volevo raccontarla attraverso la voce di qualcuno che fosse estraneo alla città. Per questo Gereon arriva da Colonia e scopre in qualche modo passo passo insieme ai lettori la realtà contraddittoria di Berlino.

Il titolo originale, «Die Akte Vaterland», di «Il tempio del piacere», suona come «il fascicolo patria»: un nome che evoca un locale berlinese (Haus Vaterland) al centro della storia e la situazione della Germania del ’32 che sta per scivolare nelle mani di Hitler. Indagando la storia tedesca con il noir racconta come sono andate le cose e immagina come sarebbero andate se ci si fosse opposti ai nazisti?
Certo, ma prima di tutto ho cercato di immaginare cosa provarono e capirono i tedeschi dell’epoca di quanto si andava preparando. Nell’estate del 1932, quando si apre il romanzo, nessuno sapeva ancora che Hitler e i nazisti sarebbero saliti al potere nel gennaio del 1933. Anzi, nelle elezioni del Reichstag del novembre 1932 i nazionalsocialisti avevano perso molti voti e molti pensavano che il peggio fosse passato. Ma poi, due mesi dopo, Hindenburg nominò Cancelliere proprio Hitler. E gli eventi dell’estate del 1932, quando la Prussia, che era ancora governata dalla socialdemocrazia (dopotutto si trattava di due terzi del territorio tedesco) fu amministrata da un Reich non più democratico, dopo un golpe guidato dalle forze di destra, non i nazisti ma i reazionari riuniti attorno al Cancelliere Franz von Papen, prepararono il contesto per l’ascesa al potere di Hitler. Perciò, i personaggi del romanzo sono testimoni di quanto sta avvenendo anche se non conoscono il tragico epilogo della vicenda.

Cosa significa raccontare una città che nel frattempo è stata quasi completamente distrutta dalla guerra e ha poi vissuto divisa per trent’anni? Si tratta di riconquistare una memoria che si credeva perduta?
Anche se non credo sia l’elemento principale, dal mio sguardo emerge anche una certa nostalgia per quella città magica di cui rimane ben poco. Ovviamente, in questa prospettiva, rifletto anche su cosa sarebbe potuto succedere alla Germania (e al mondo) se i nazisti non fossero saliti al potere. La guerra ha distrutto molte cose, ha cancellato milioni di vite, ma ha anche eliminato quasi ogni traccia di molte splendide città di tutto il mondo: non è accaduto solo a Berlino.

Nei suoi romanzi si ha l’impressione di imbattersi nelle atmosfere descritte da Christopher Isherwood non soltanto nel celebre «Addio a Berlino» (1939). Che rapporto ha con le opere dello scrittore britannico?
Ovviamente ho letto i libri di Isherwood sulla Berlino dell’epoca, ma non solo quelli. Quando ho iniziato a pensare ad una serie di romanzi ambientati in quel contesto, sono andato a rileggermi ciò che avevano scritto gli intellettuali e i romanzieri dell’epoca. A cominciare da Berlin Alexanderplatz di Alfred Döblin, Fabian di Erich Kästner, Gilgi di Irmgard Keun o i romanzi di Vicky Baum, Hans Fallada, Gabriele Tergit, Lion Feuchtwanger e molti altri ancora.