La sensibilità per la tutela della salute e dell’ambiente l’aveva sviluppata già molto tempo prima di arrivare in Puglia. Roy Paci, siciliano doc, direttore artistico dell’Uno Maggio Taranto, è cresciuto lottando contro i gravi danni prodotti dal polo petrolchimico di Augusta, in provincia di Siracusa. «Vengo dal triangolo della morte – dice – e poiché a casa mia mi è stato impedito di lottare, Taranto rappresenta per me il riscatto».

Sono trascorsi dieci anni dalla prima edizione lei resta una presenza costante. Com’è iniziata per lei quest’avventura?

È iniziata dal primo giorno, al fianco di Michele Riondino. Qualche anno dopo si è unito Antonio Diodato. Mi chiamarono perché avevano bisogno di una persona che avesse una connessione con il mondo musicale. Abbiamo iniziato a cooperare, mi sono offerto come volontario perché sentivo una grande analogia tra Taranto e la mia città, Augusta. In Sicilia mi sono scontrato più volte con le istituzioni e i politici. Eravamo un gruppo sparuto che cercava di fare una rivoluzione importante. Ad Augusta non sono riuscito a portare avanti la battaglia, quello che mi è accaduto è stato pesantissimo. Alla fine ho mollato la presa. Quando mi è arrivata la richiesta di collaborazione da Taranto, ho visto i compagni combattere e ho capito che dovevo riprendere a lottare perché non ero solo.

Com’è cambiato l’Uno Maggio dal 2013 ad oggi?

Della prima edizione ricordo che eravamo pochissimi rispetto a ora. Eravamo un collettivo di gente che ci credeva e si chiedeva se questo sogno effettivamente sarebbe diventato importante. La fama non c’entra niente. L’obiettivo non è mai stato diventare famosi. Ci sono scopi più importanti. Ci chiedevamo allora se questo urlo collettivo potesse andare oltre la Puglia. Oggi ovunque mi giri conoscono Taranto. A me commuove. Lo avrei voluto fare anche per Augusta, ma non mi è stato possibile. Qui ho potuto farlo perché mi sono sentito all’interno di una grande famiglia. A Taranto è come se mi fossi riscattato. Non voglio che si dimentichi questa realtà, perché è un simbolo che va oltre i confini nazionali.

Quali sono i ricordi più cari di questi dieci anni?

Ci sono tanti momenti che porto nel cuore. Le risate tra gli amici musicisti, le jam che sono accadute su quel palco senza averle programmate. Ho voluto che i camerini fossero vicini, senza barricate, l’uno accanto all’altro. Nessuno guadagna niente e questo ha favorito i rapporti. Si sono create interessanti connessioni anche musicali. Per un attimo abbassiamo i livelli di guardia, le barricate del mondo dello show. Non siamo nella competizione, siamo in un contesto dove la musica serve a veicolare contenuti importanti. Questo senso del protagonismo e del super ego viene abbattuto, sei lì solo come essere umano e cerchi il godimento e il nutrimento puro senza essere servito e riverito, ma sentendoti parte di un gran movimento.

Cosa si auspica per questa edizione?

Mi auguro che sia sempre più affollato e seguito. Noi vogliamo che sia la voce di tutte le persone. Voglio che Taranto sia consacrata, in modo laico e pagano, come il vero e reale momento di aggregazione importante che riesca a riunire tutti i lavoratori, che diventi il focolaio vero e giusto di tutti. Da anni la porto con me anche nei concerti all’estero. Farò di tutto affinché possa essere sempre più conosciuta a livello planetario.