La storia comincia ad Albisola, quindici anni fa, quando in una fabbrica di terracotte Mirco Marchelli salvò dai bidoni della spazzatura cui erano destinate alcune forme di legno dismesse, portandone con sé, nel Monferrato (vive e lavora a Ovada, in provincia di Alessandria), una trentina. Nell’immediato, non ebbero grande fortuna e furono ammonticchiate in magazzino, a prender polvere. Ma nulla è casuale in un artista che ama rielaborare il «vissuto», tornare ad animare le cose, mescolare storie e inventarne di nuove, ritmandole con l’alchimia delle sequenze numeriche.

Mirco Marchelli

COSÌ, QUEI «MODELLI» quadrati, che misuravano ognuno 42 per 42 centimetri, stagione dopo stagione hanno ripreso voce, letteralmente, trasformandosi in pattern visivi (dove precipitano molti objets trouvés sedimentati nel tempo) e in partiture musicali solide, accogliendo tra timbri cromatici e porosità della materia la rielaborazione di tre madrigali tratti da Gesualdo da Venosa (1556-1613) che Marchelli, compositore per sua prima formazione, ha riscritto «spostandosi di semitono e frantumando il tutto».
È questo, cui vanno aggiunti alcuni testi poetici di Edoardo Sanguineti, l’atto di nascita di Voci in capitolo, la personale dell’artista che crea universi paralleli in cui la cartografia è segnata da incroci sentimentali di pittura, bricolage scultoreo, musica e letteratura, appena inauguratasi a Lecce presso la Fondazione Biscozzi | Rimbaud, con la cura di Paolo Bolpagni (direttore tecnico-scientifico del museo) e Giovanni Battista Martini (che, fra le altre attività, è alla guida a Genova dell’archivio di Lisetta Carmi). Visitabile fino al 2 luglio, prosegue e apre orizzonti nuovi – con quel suo caleidoscopio di apparizioni che prevedono parole, suoni e assemblaggi pittorici – dopo le esposizioni dedicate alle sinfonie del bianco di Angelo Savelli, le sculture di Salvatore Sava e le percezioni mobili di Grazia Varisco.

LA RACCOLTA della Fondazione, germogliata dal desiderio mai sopito e dalla curiosità entusiasta di Luigi Biscozzi e Dominique Rimbaud nel corso di mezzo secolo, ha un’impronta decisamente astratta in tutte le sue declinazioni. E proprio a questa «traccia passionale», raffinata, rigorosa e liberamente in soggettiva, risponde per corrispondenze amorose Mirco Marchelli nelle tre sale della mostra, giocando con quel numero (tre) che già i pitagorici consideravano perfetto, sintesi cosmica e immagine ineffabile della totalità. Lo ripete, moltiplica e trasfigura in silhouettes, disegni, piccoli brani di pagine, pezzi di legno.
Scorre la Storia e si dipanano epoche fra quelle tavole pittoriche che accolgono motivi di decorazioni arabe, reminiscenze di stemmi e formule geometriche delle pavimentazioni medievali, incrociando sentieri di luoghi e tempi diversi, quasi epifanie improvvise fuoriuscite da immaginari taccuini di viaggio. E la musica – come spiega nella bella intervista di Bolpagni e Martini pubblicata nel catalogo (Dario Cimonelli editore) – non è mai un corredo, una colonna sonora a sé ma un assetto compositivo e contrappuntistico che favorisce il gioco combinatorio, andando alla ricerca di un equilibrio e inseguendo i colori come fossero soprani, contralti o baritoni. «Le opere riferite ai tenori, per esempio, sono tutte incise: sono lavori che partono dalla base di un materiale che sto utilizzando in questi mesi – quello più edile: bianco malta, gesso e scagliola – su cui sono andato a incidere generando rilievi».

OGNI LAVORO di Marchelli, sia per la patina che lo ricopre sia per le tonalità scelte, ha qualcosa di intimo, riconnette la memoria a spazi domestici perduti così come a luoghi sacri. Si fa frammento e reperto di un mondo passato a cui guardare senza tentazioni di nostos, ma con la vivacità del presente e del prender vita degli «scarti» che finiscono per popolare una scena condivisa, quella «camera» dei madrigali in cui potersi raccogliere in leggere meditazioni che scaturiscono anche da enigmatiche frasi poetiche.

Qui un video con le voci dei madrigali  https://we.tl/t-sOXoDz95Z7

SCHEDA

Fondazione Biscozzi Rimbaud, sala d’accoglienza dell’esposizione permanente con l’opera di Andre Lanskoy

La Fondazione Biscozzi / Rimbaud Ets è stata costituita il 19 febbraio 2018 dai coniugi Luigi Biscozzi (lui salentino) e Dominique Rimbaud con l’obiettivo di promuovere attività culturali (che coinvolgano la comunità locale e soprattutto le scuole) attraverso la valorizzazione della loro collezione: circa 200 opere fra dipinti, sculture e grafiche. Alla scomparsa del marito, Dominique Rimbaud ha dato corso al sogno e all’impegno preso insieme. Ha così consegnato alla Fondazione, in comodato d’uso gratuito, quella raccolta (iniziata nel 1974) che testimonia la vivacità di una parte importante dell’arte del Novecento e annovera nomi italiani e internazionali (de Pisis, Martini, Prampolini, Albers, Hartung, Magnelli), con una nutrita rappresentanza degli anni ’50, ’60 e ’70: Melotti, Veronesi, Burri, Dorazio, Birolli, Tancredi, Scanavino, Consagra, Azuma, Dadamaino, Bonalumi, Savelli, Brunori, Schifano e molti altri (non mancano poi alcuni artisti leccesi come Salvatore Sava, Michele Guido e Salvatore Esposito).
La Fondazione si snoda su due piani nel centro di Lecce, in piazzetta Baglivi 4: oggi è anche uno spazio espositivo, inauguratosi nello scorso 2021. Il percorso mostra la magnifica ossessione dei due collezionisti per l’astrattismo in tutte le sue accezioni: informale, geometrico, cinetico. L’itinerario è stato «disegnato» dal direttore tecnico-scientifico Paolo Bolpagni con Arrigoni Architetti e parte degli spazi sono concepiti per ospitare rassegne temporanee, creando una identità «mobile» per questo luogo che è il museo d’arte contemporanea della città.