In un suo saggio dedicato all’autore della Cognizione del dolore, Stefano Agosti così esordiva: «tra le molte possibilità di ricerca che questo secolo apre all’esegesi contemporanea, quella sul linguaggio di Carlo Emilio Gadda è una delle più ardue e prolifiche che un critico possa affrontare». A rendere merito a questi auspici è ora in libreria, nell’imminente cinquantenario della morte, il Gaddabolario (Carocci, pp. 176, € 16,00) divagante glossario che si compone di 219 coniazioni e risemantizzazioni gaddiane a cura di Paola Italia, la filologa che, insieme con Giorgio Pinotti, Mariarosa Bricchi e Claudio Vela (coinvolti in questo lavoro assieme ad altri 58 collaboratori), di recente ha più lavorato sulla cornucopia dei «doppioni» e delle varianti dell’Ingegnere.

L’impresa non sarebbe forse spiaciuta a uno scrittore assai avvezzo all’uso delle glosse lessicali, oltre che alla compulsazione dei vocabolari (30 i soli dizionari in lingua italiana e classica conservati nella biblioteca del Burcardo): un «archiviomane» come si autodefiniva nei taccuini di guerra, che si compiaceva, altresì, per tramite dei suoi personaggi, di far uso di termini inusitati e in grado di «condensare in un solo vocabolo», citando le icastiche parole di Gianfranco Contini, «un’intera filologia». È quanto accade in questo volume, per fornire un solo esempio, con il processo indiziario messo in atto da Gabriele Frasca intorno a una pista sul lemma «servizzie»; ma non sveleremo qui l’ipotesi del critico per vellicare i potenziali lettori.

Emblematico, in tal senso, l’autoritratto in nero che Gadda consegnava già in uno dei passaggi più memorabili della Cognizione a Gonzalo Pirobutirro che «lambicava rabbioso dalla memoria una qualcheduna di quelle sue parole difficili, che nessuno capisce, di cui gli piace ingioiellare una sua prosa dura, incollata, che nessuno legge». Oppure, con più «ingravallesca» ironia, aggettivo regolarmente dissezionato in una scheda del Gaddabolario, a proposito dell’ispettore-protagonista del Pasticciaccio del quale i superiori «sostenevano leggesse dei libri strani: da cui cavava tutte quelle parole che non vogliono dir nulla, o quasi nulla, ma servono come non altre ad accileccare gli sprovveduti, gli ignari»  – e in precipuo soccorso di quanti, incuriositi da una rapinosa pagina di Gadda, si sono sentiti ignari o, peggio, accileccati che il glossario, come sostiene la curatrice, vuole costituire un affidabile «punto di ancoraggio». Ma il principale merito di questo catalogo sta nella pluralità delle voci orchestrate, cui si aggiungono il largo spazio lasciato a brani dalla prosa di Gadda, a quei giochi combinatori che ci restituiscono la vertigine della diffrazione («derubando-iugulando-seviziando»), al malumore ambivalente in lui provocato da Mussolini («rachitoide»; «maramaldesco») e alle diverse occorrenze di lemmi già esistenti («spastico»; «carnevalesco») che documentano le molteplici stazioni di significato di una singola parola, nella prosa di uno scrittore che si picchi nei vizi deformativi e «linguerecci».

A lettura terminata, resta l’impressione di divertimento tipica di certi gruppi di aficionados quando si riuniscono attorno a un tavolo per discorrere di un autore amato. Sarebbero adatte, a questo volume, le parole che Gadda usò su «Primato» per un’impresa analoga, ossia l’allestimento di un vocabolario, di cui lo colpì «il cospirare di più forze di singoli verso un unico intento». Ma soprattutto: il carattere individuale dei collaboratori sopravvive nella «presa di possesso del lemma» e nella sua «eduzione verso i lumi». C’è di che guadagnare nuovi lettori, attratti da quella «parola infinitamente plurale, mobile, diffratta, intrecciata e sovrapposta ad infinite parole e, per ciò stesso, liberamente e incessantemente creativa».