Vivian Maier, il gioco dei rimandi
Scaffale A Milano per Bookcity, nel Castello Sforzesco torna in vita la bambinaia-fotografa, grazie a due romanzi: «Vivian» di Christina Hesselholdt (Chiarelettere) e «Dai tuoi occhi solamente» di Francesca Diotallevi (Neri Pozza)
Scaffale A Milano per Bookcity, nel Castello Sforzesco torna in vita la bambinaia-fotografa, grazie a due romanzi: «Vivian» di Christina Hesselholdt (Chiarelettere) e «Dai tuoi occhi solamente» di Francesca Diotallevi (Neri Pozza)
Scrivere di sé per dire tutto dell’uomo, sosteneva Montaigne. Ce lo ricorda l’autrice danese Christina Hesselholdt nel suo romanzo Vivian (Chiarelettere, pp. 185, euro 16) dedicato alla fotografa-bambinaia che collezionò più di 150mila scatti. «Scriveva con la luce», ma quei suoi negativi rimasero sigillati nel buio e – lei vivente – nessuno li vide mai. Li conservò però gelosamente in un magazzino fino a che un giovane di nome John Maloof – facendo ricerche sui quartieri di Chicago – comprò tutto il materiale stipato nel vecchio box: il proprietario non pagava più l’affitto e il suo contenuto finì in asta. Maloof ha stampato i rullini, li ha messi in rete e ha fatto la sua fortuna, mentre per la tata francoamericana cominciava una seconda vita.
LA STORIA PUBBLICA di Vivian Maier iniziò per caso e per denaro, rivelando al mondo una potente street photographer che finge l’amatorialità nella consapevolezza del linguaggio messo in scena. E in quel gioco poco innocente di rimandi, ci ha riconsegnato i volti e (soprattutto) i comportamenti di un’America che altrimenti sarebbe sbiadita e oggi trasfigurata nei colori – questi invece accesi – di Trump. E anche gli «interni» di una Francia dimenticata che, a volte, nelle sue malinconiche e cupe atmosfere famigliari ricorda quella raccontata nei libri di Simenon.
Domani, Bookcity a Milano richiamerà in vita il fantasma della fotografa che si aggirava per le strade in assoluta solitudine con la Rolleiflex al collo. Figura allampanata, capelli corti, un po’ androgina, vestita di tutto punto con severi completini tendenti a offrire una immagine disneyana della babysitter, Maier era nata nel 1926 da Charles, americano con radici in Austria e Marie, francese, donna dal carattere spigoloso e assai poco affettivo. Almeno è così che quella madre gelida ci viene restituita da due scrittrici, la già citata Hesselholdt (l’incontro è al Castello Sforzesco, ore 17.30) e l’italiana Francesca Diotallevi che ha pubblicato con Neri Pozza Dai tuoi occhi solamente (pp, 208 euro 16,50; il pubblico potrà ascoltarla alle ore 19,30, sempre venerdì al Castello Sforzesco).
IL COMPITO DI COSTRUIRE una biografia con i pochi tasselli reperibili di una persona volutamente rimasta in incognita, che obbedì maniacalmente solo alla sua ossessione perfezionando, giorno dopo giorno, la diaristica raffinata insita nelle sue inquadrature (cogliere i momenti di vita quotidiana, collezionare ritratti e anche le pose di se stessa in superfici riflettenti, quasi una testimonianza indiretta dell’esistere nel «qui e ora», giocando a nascondino) è spinoso e non privo di trappole.
Il rischio letterario è lo scivolamento nella finzione non dichiarata, senza più appigli per una presunta narrazione che rimpolpi un corpo reale e un pensiero organico – seppure eccentrico – in empatia con quello stesso corpo.
ENTRAMBE LE AUTRICI reagiscono all’assenza del personaggio con la presenza forte della «persona» Viv che ritroviamo nelle foto (l’immagine degli sdoppiamenti continui e ricercati per attestare una certa autorialità), non disdegnando di tornare a rébours agli anni dell’infanzia e al suo difficile contesto famigliare. Vivian Maier e la sua invisibilità perseguita con feroce tenacia nascono prima, molto prima dell’acquisto nel 1952 della sua Rolleiflex Automat.
Diotallevi inverte la cronologia e crea ponti tra passato e presente. Segue la direzione dei suoi occhi di bambina quando osserva la nonna, s’intrufola (muta) nella crisi creativa del padre-scrittore dei ragazzini di cui era la tata, o ancora, quando si incanta davanti le operazioni imbevute di magia della fotografa Jeanne.
FU LEI AD ADOTTARLA, insieme alla madre, nel momento in cui dovettero abbandonare la casa della zia e riversarsi in strada. E siccome quella di Jeanne fu l’unica casa che Vivian trovò per addomesticare il suo randagismo, la macchina fotografica divenne la «camera» (e l’anticamera) della sua anima.
Christina Hesselholdt opta per un’altra, impervia scelta. Apre la maglie della narrazione lasciandola fluire in un romanzo polifonico dove ad affacciarsi sono più voci e punti di vista, non ultimo «il narratore» che prende su di sé la sapienza di una intera vita, costruita come fosse un rebus.
Ma la misteriosa personalità di questa artista non smette di produrre racconti (oltre che numerose mostre nel mondo): anche Contrasto pubblica Vivian Maier. Vita e fortuna di una fotografa, frutto di quattro anni di ricerche della docente di fotografia Pamela Bannos.
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