Lo scorso 24 gennaio il «Bollettino degli scienziati atomici» ha fissato le lancette del Doomsday Clock (l’«Orologio dell’Apocalisse») a 90 secondi dalla mezzanotte: il lasso di tempo più breve mai toccato fin dai tempi della sua creazione.

NATO NEL 1945 per iniziativa di Albert Einstein, il Bollettino aveva poi creato nel 1947, allo scoppio della «guerra fredda», il Doomsday Clock. In pratica, un orologio virtuale, un espediente visivo, capace di ammonire il mondo intero sullo stato delle relazioni internazionali e il rischio dell’ecatombe nucleare. Da allora, quelle lancette hanno segnalato l’altalena di angoscia e speranza nelle crisi di guerra fredda e nuove sfide globali: cambiamento climatico, minacce biologiche ecc. E così siamo stati a: 2 minuti dalla mezzanotte nel 1953, dopo la sperimentazione delle bombe all’idrogeno; a 7 minuti nel 1962 all’indomani dei missili a Cuba; 3 minuti con Reagan e le guerre stellari; 2 minuti nel 2018 dopo gli esperimenti atomici coreani e iraniani, e così via.
Le lancette ora sono a 90 secondi dalla mezzanotte, a distanza di quasi un anno da quel 24 febbraio in cui Putin ha precipitato il mondo in un nuovo conflitto. Da allora è stata spalancata una faglia di estremo pericolo, punteggiata da evocazioni di soglie e rischi fatali, estremi.

ANCHE SU QUESTO PREZIOSO libro di Antonio Cantaro campeggia un orologio (L’orologio della guerra. Chi ha spento le luci della pace, edito da NTSMedia, pp. 212, euro 16). Sta lì a marcare la soglia, il momento in cui la pace è stata rotta e siamo stati avviati per una strada irta di pericoli che sembravano essere stati posti alle spalle al volgere del «secolo breve», in quel 9 novembre 1989 in cui, col crollo del Muro, era stata annunciata la «fine della storia», l’avvento di un periodo di pace e neoliberistica prosperità.
Netta è la critica svolta da Cantaro a quest’ultima illusione e alle posture unilaterali che essa ha alimentato. La storia in realtà non ha cessato di galoppare. Soprattutto, si è incamminata per percorsi altri da quelli tracciati dall’unilateralismo a «stelle e strisce», corazzato dall’incapacità europea a fuoruscire dal carapace atlantico della «guerra fredda». Di fronte all’aggressione russa l’Occidente non ha saputo far altro che replicare sul piano militare, amplificando rischi e incognite. L’inaspettata resistenza ucraina non ha trovato ausili e sbocchi altri da malriposti auspici di crolli dell’aggressore.
Un Occidente svuotato d’ogni protagonismo popolare, avvolto in reti manovrate da vecchie e nuove oligarchie, appare assediato da angosce esistenziali, dall’incapacità a traguardare nuovi orizzonti. In pieno XXI secolo, siamo attori di un mondo sconvolto fin dalle fondamenta. Cantaro insiste molto su questa cesura, contestando le rivendicazioni di un intatto primato occidentale. Oggi l’Occidente non si presenta più trascolorato nella skyline sfavillante di Manhattan.

L’AMERICA DA TEMPO ha cessato di essere il nuovo mondo, di spargere per il globo fascino e soft-power. Oggi «il nuovo abita altrove ed è composto da circa i sette miliardi di non occidentali (mediamente più giovani e in aumento anche vertiginoso, specie in Africa) impegnati a colmare il secolare gap rispetto ai paesi capitalistici più avanzati. Da tempo, grandi paesi – in primis, Cina e India – si sono affacciati alla ribalta ben al di fuori dei confini un tempo tracciati dalla categoria dei «non-allineati».
Abitiamo un pianeta sconvolto nelle sua fondamenta. Di qui la critica ai dogmi di una geopolitica ancorata alle vestigia di un Novecento riproposto come immutabile, nel rifiuto concreto degli equilibri segnati dalla nuova Grande Convergenza in atto tra paesi e continenti, tra Occidente e Oriente. Finora, ogni tentativo di «guadagnare tempo» – per dirla con Wolfgang Streeck – rispetto alla corsa intrapresa dal mondo si è risolto in un fallimento: sia se condotto in armi, come ad opera di Putin, oppure nei marosi finanziari, ad esempio nella crisi del 2007-2008. Si pensi poi al tentativo di eternarsi al di là mandato costituente: ad esempio con la Nato capace, nel suo nuovissimo mandato strategico, di affacciarsi sul Pacifico, a traguardare il nuovo protagonismo cinese.

L’OROLOGIO DI CANTARO accompagna anche il passo di una crisi. Quella del pacifismo che aveva invece contrassegnato l’alba del Terzo Millennio, quella straordinaria manifestazione per la pace che il 15 febbraio 2003, all’indomani della seconda guerra irachena, aveva indotto il New York Times a salutare la nascita della «seconda potenza mondiale» del pianeta. Il mondo ha preso strade altre da quelle indicate dai no-global o new-global. Con l’aggressione all’Ucraina è ritornato l’incubo atomico. Di fatto – come ci ammonisce Cantaro – «se non si trova a breve una soluzione accettabile si aprono e non solo per la Russia scenari terrificanti». Tanti ormai imboccano strade nuove mentre l’Unione Europea stenta a tenere il passo: la Scandinavia è in ebollizione, Germania e Olanda riarmano, il Medioriente, già irsuto per le guerre intestine, si sporge ora ambizioso sul mondo circostante.
È il momento di fermare l’orologio della guerra. Prima che sia troppo tardi, è bene riconquistare spazio e tempo alla pace. Magari ripensando, qui in Occidente, a un epocale ammonimento di Gandhi: «Voi occidentali, avete l’ora ma non avete mai il tempo».