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Gradi di libertà Nell'ambito della mostra al Mambo, organizzata dalla Fondazione Golinelli, la giornalista turca ha parlato dei ragazzi degli anni Novanta e della loro «resistenza tecnologica» per la conquista di una qualche autonomia
Gradi di libertà Nell'ambito della mostra al Mambo, organizzata dalla Fondazione Golinelli, la giornalista turca ha parlato dei ragazzi degli anni Novanta e della loro «resistenza tecnologica» per la conquista di una qualche autonomia
L’estate scorsa quando un’indovina mi ha detto che sarò una persona libera verso i sessant’anni, quasi quasi ero contenta. Sono disposta ad accettare questa promessa purché si avveri. Per i cittadini il cammino per ottenere la libertà è molto lungo, doloroso e pieno di delusioni. Quante volte ci siamo illusi di essere vicini a un modello di cittadinanza democratico, basato sui diritti?
Dopo gli anni di piombo, il caos e il terrorismo degli anni ’70, il colpo di stato del 12 settembre 1980 ci ha segnato per decenni. Nel ’79 il terrorismo galoppante ha impedito al partito di sinistra Chp e al suo leader Ecevit di prendere il potere.
Intellettuali, accademici, studenti, attivisti, coloro che chiedevano più libertà, si sono trovati dietro le sbarre; hanno portato i segni della tortura per tutta la vita.
In Turchia chiedere più libertà è stato molto pericoloso. E ancora oggi è rischioso. La parola «libertà» in sé ha quasi assunto un significato sovversivo: in fondo, quando parliamo di libertà, introduciamo anche i «diritti». Chi sono quelli che chiedono più diritti e libertà? Operai, studenti, accademici, intellettuali, curdi…
Per l’opinione pubblica, sono quelli che minano la stabilità. Chissà perché stabilità e libertà non sono parole amiche. Chi ha il potere, propone sempre stabilità e sicurezza in cambio di minor stato di diritto e minore libertà.
Ecco allora i ragazzi di Gezi Park: quelli che hanno protestato e bloccato il taglio di seicento alberi per fare spazio a un centro commerciale, in piazza Taksim; sono la generazione turca degli anni Novanta. La gioventù spensierata, apolitica, tecnologizzata, che parla almeno una o due lingue straniere e ha come hobby la musica, la moda, i social media. Sono i figli del boom economico turco. Magari i loro padri, madri, parenti e professori fanno parte della generazione del Sessantotto. Ma loro non hanno ereditato i crismi culturali, politici e ideologici del Sessantotto. Questa gioventù non aveva idea delle forme di organizzazione politica, della lotta armata, del ruolo dei leader carismatici e dell’azione rivoluzionaria.
Negli anni ’90 ormai i militari erano rientrati nelle loro caserme, lasciando segni indelebili. Il popolo turco aveva avuto la sua lezione: chiedere più diritti e libertà può significare pagare un prezzo in caos e terrorismo; se vuoi stabilità e sicurezza devi rinunciare ai tuoi diritti democratici. I militari, i fondatori e protettori della Repubblica Turca, avevano deciso cosa sarebbe stato migliore per il popolo turco. La resistenza di Gezi Park ha cambiato molte cose nella storia della libertà dei popoli della Turchia. Stranamente, la migliore gioventù turca è stata un collante incredibile tra i vari segmenti della società.
Com’era possibile che una gioventù così ignara di tutto, così apoliticizzata, in un sonno di morte, si sia svegliata di colpo?
Perché c’era una minaccia anche per la loro libertà. Detto in un modo chic, il cosiddetto «lifestyle» era in pericolo. Tanti di loro avevano sostenuto la battaglia delle compagne per poter entrare all’università con il velo. Ma il capo del governo, seduto al Palazzo di Dolmabahçe, dichiarava che non gli piaceva vedere i giovani amanti che scendevano dal vaporetto mano nella mano. All’università di Bilgi, in un Festival di Musica, era stato vietato bere birra . Ad Ankara una coppia poteva essere minacciata per un bacio. Seguendo questa linea il presidente della Camera Bülent Arinç dichiarava inopportune anche le risate delle donne in pubblico.
Con il governo di Akp i gradi di libertà stavano scendendo sotto zero e lì la vita per tutti si sarebbe congelata. I giovani di Gezi Park se ne sono accorti. Erano emarginati dalla vita politica del paese, ma avevano i loro interessi, il loro stile di vita, un certo tipo di libertà circoscritta in spazi ben precisi. Non si mischiavano alla vita politica del paese ma erano liberi nei loro spazi. Questo contratto è saltato. E quando anche loro hanno visto aggredita la loro libertà hanno perso la pazienza.
Il vaso di Pandora ormai si è aperto.
Non bisogna dimenticare che ecologia e ambiente sono tra gli interessi primari di questi ragazzi, perché sono temi sempre posti al margine della politica.
Il governo di Akp voleva una nuova Turchia, una nuova gioventù, la ingegneria sociale era in lavoro, ma in modo assai rozzo.
Quando i gradi della libertà scendono sotto zero non c’è vita; per non morire civilmente, socialmente, devo reagire. È ciò che ha capito la generazione del Novanta. «The Lost Generation» ha ricostruito un modello di esistenza comunitaria nel parco di Gezi, che si è trasformato in un laboratorio di libertà dove i giovani hanno espresso la loro volontà, capacità e creatività per un stile di vita basato su solidarietà e libertà. Avevano installato una cucina autonoma, una biblioteca, un coro, i medici, gli spazi creativi per i ragazzi. A Gezi per un tempo determinato sono state cancellate le differenze: turchi, curdi, comunisti, musulmani rivoluzionari, la signora patinata e l’altra velata insieme si sono coalizzati contro l’oppressione, offrendo una prova di convivenza.
È stato qualcosa che ha spaventato il potere. E, in quel frangente, purtroppo gran parte della media ha dato una pessima prova. A Taksim quando la polizia ha lanciato lacrimogeni e gli idranti sulla gente, nelle maggiori televisioni proiettavano documentari sui pinguini e le balene.
La migliore gioventù tecnologizzata ha superato anche questo: Twitter, Facebook, Streaming sono parole che si sono diffuse velocemente pure tra i loro genitori. L’uso dei social media ha così rotto la censura del potere che ormai controlla circa 70 % dei media turca. Naturalmente, non hanno tardato ad arrivare accuse, minacce per i giornalisti che usavano Twitter non potendo scrivere la verità sui giornali. In molti hanno persoil lavoro.
Gezi Park ha rappresentato un inizio, una sperimentazione che ha spaventato a morte il potere. I genitori hanno sostenuto i loro ragazzi, sono andati insieme in piazza. Gezi ha acceso il desiderio di una società libera. Il popolo di Gezi vuole anche la pace, pace tra i curdi e i turchi basata su diritti, uguaglianza, condivisione, autonomia: sono queste le parole della Libertà. E di nuovo, invece, c’è un’escalation di scontri, attacchi terroristici, l’atmosfera è simile a quella della vigilia del Colpo di Stato dell’80. Anche peggio, la Turchia è sotto la minaccia di Isis. Un paese diviso ma combattivo. Chissà se vinceranno mai la libertà e la pace contro il potere.
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