Lo raccontava Lévi-Strauss a proposito dei primi contatti tra conquistadores e amerindi: poiché entrambi i gruppi erano in dubbio circa l’umanità dell’altro, si misero i primi a cercare di trovare l’anima degli indigeni e questi ultimi a provare di comprendere la natura del corpo degli spagnoli. Questa inversione ontologica ed epistemologica sta alla base della serie di intuizioni che ha portato Eduardo Viveiros de Castro a domandarsi «qual è il punto di vista degli indigeni sul punto di vista?» e, attraverso la messa in atto di «inversioni perverse», giungere alla formulazione della sua proposta teorica fondamentale: il prospettivismo amerindio.

Questo è il fil rouge che attraversa Lo sguardo del giaguaro. Introduzione al prospettivismo amerindio (traduzione di Cecilia Tamplenizza, Meltemi, pp. 229, euro 18), in cui l’antropologo brasiliano, per mezzo di una serie di «inter(ri)viste», di interviste modificate per rendere conto dell’evoluzione del suo pensiero o, con le sue parole, di «articoli accademici in un formato dialogico e in un linguaggio più rilassato del solito», ci introduce, passo dopo passo, al prospettivismo amerindio, rendendoci edotti, tra le altre cose, della sua genesi intellettuale e delle sue ricadute politiche.

IL PROSPETTIVISMO amerindio si basa su una ben precisa cosmologia: «il mondo è percepito da molte specie di esseri dotati di coscienza e cultura» e «ciascuna di queste specie si percepisce come umana». Da questa visione cosmologica, chiaramente opposta a quella occidentale, discendono tutte le altre “inversioni” del prospettivismo amerindio. Per esempio, lasciando che siano lettrici e lettori a scoprire l’intero rizoma relazionale che si instaura tra l’antropologia amerindia e quella di Vivieros de Castro, per gli indigeni «gli animali erano umani e hanno smesso di esserlo», mentre «nella nostra mitologia è il contrario». E ancora: per gli indigeni, «più sono in grado di attribuire intenzionalità a un oggetto più lo conosco», mentre per l’Occidente «conoscere è dis-animare, sottrarre la soggettività dal mondo».

Il punto di vista amerindio sul punto di vista è, in breve, una dislocazione relazionale del soggetto: «Il soggetto non è colui che si pensa (come soggetto) in assenza dell’altro; è colui che è pensato (da un altro e davanti a questo) come soggetto». Il prospettivismo è un «relazionismo generalizzato», in cui «il punto di vista crea il soggetto», soggetto che, lungi dall’essere sostanza fissa, è posizione situata, sempre instabile, attraversata dal conflitto e circolante.

STIAMO PARLANDO di relativismo? No, risponde l’antropologo brasiliano, stiamo affermando che per gli amerindi non esiste una sola natura attorno a cui ruotano diverse culture (multi-culturalismo), ma molte nature (multi-naturalismo) attorno a cui gravita una sola cultura, in cui «ciò che varia sono i corpi che incarnano quella cultura, che danno a questa cultura espressioni differenziate»: «le “parole” cambiano, ma le cose sono le stesse». O, seguendo Deleuze, il prospettivismo non è relativismo perché «non afferma “la relatività del vero, ma la verità del relativo”».

La maggiore conquista politica della prospettiva di Viveiros de Castro non è di tradurre/tradire differenti punti di vista, ma di «produrre un’interferenza tra i punti di vista» che finalmente consenta un divenire-con, una reciproca ibridazione in perenne movimento. Perché, citando ancora Deleuze, «essere di sinistra significa sollevare problemi dove la destra ha tutto l’interesse di dire che non ci sono».