Vittorio Nocenzi: «Scommettiamo ancora sulla musica»
Intervista Il fondatore del Banco del Mutuo Soccorso sulla ristampa di «Come in un’ultima cena» e il nuovo album in arrivo
È una strana forma di recessione quella che nell’ottobre del ‘76 sta per risucchiare il rock progressive. A contare le uscite di quell’anno lo si direbbe in ottima salute, ma qualcosa inizia a cedere, sotto i colpi congiunti del punk – che lo condanna come capriccio borghese e manierista – e della disco music, che all’impegno intellettuale del prog risponde rimettendo il corpo al centro della scena e della pista. Gli scricchiolii sullo sfondo sono le prime crepe di un’industria discografica che traballa sotto il peso della crisi.
VITTORIO NOCENZI, anima del Banco del Mutuo Soccorso, ricorda nitidamente le sensazioni di quei giorni: «In quel periodo i musicisti avvertirono un netto cambio di atteggiamento degli ascoltatori. Dal 1972 al ‘75, forse anche inizio ‘76, chi amava la musica alternativa le conferiva un ruolo particolare. Non un hobby ma la declinazione sonora di una scelta di vita. Chi aveva certe idee ascoltava un certo tipo di musica, come appunto il prog o i cantautori, connotandosi generalmente in un ambito di sinistra; ma non era discriminazione partitica, era politica nel senso più alto, segno dell’appartenenza a una stessa visione della vita. Chi aveva idee diverse invece ascoltava Baglioni e Alan Sorrenti». In quei giorni d’ottobre il Banco prende posizione con il suo sesto album, Come in un’ultima cena, pubblicato anche in inglese con l’aiuto di un traduttore d’eccezione, Angelo Branduardi. Dell’eloquio di Nocenzi, così come della sua musica, sorprende non solo la forma ma l’architettura stessa: un discorso che già dalle prime battute prefigura un’argomentazione, un racconto di ampio respiro che disseziona le varie membra interne allo stesso organismo prog. «La Pfm ad esempio, dal punto di vista esistenziale, sociale, politico, ha fatto altre scelte, diverse da quelle degli Area e del Banco». Stigmatizza luoghi comuni figli del manicheismo musicale, «come quello che pone da una parte i gruppi che fanno grande musica e dall’altra i cantautori che fanno grandi testi», sottolineando la centralità dell’elemento letterario per il Banco. «Ho sempre ritenuto irrinunciabile una narrazione ampia. I nostri album erano racconti a matrioska, ricchi di suggestioni visive. Ma allo stesso modo la musica era fondamentale per certi cantautori come Fossati o Paolo Conte».
Dal 72 al 75 chi amava la musica alternativa le conferiva un ruolo particolare. Non un hobby ma la declinazione sonora di una scelta di vita
RISTAMPATO in vinile dai nastri originali per Universal Music in occasione del suo 45° anniversario, Come in un’ultima cena risuona di un prog che, pur cedendo qualcosa alla canzone sul piano della forma musicale, non arretra di un passo in termini di continuità narrativa e di commento sociale.
«Il dibattito tra i giovani era fortissimo. Di cosa si dibatteva? Delle priorità, delle nostre scelte di vita. Volevamo un concept album quanto più possibile vicino a quei temi. Immaginammo una cena tra amici. Uno di loro mette sul tavolo il proprio disagio interiore: una richiesta di aiuto alla quale tutti i presenti replicano con un consiglio soggettivo. Ognuno rappresenta una tipologia umana: c’è Mida, il classico venditore, che dà importanza soltanto alle cose materiali; c’è il protagonista di Slogan che è l’ideologo dei Demoni di Dostoevskij, uno dei tanti talebani ante-litteram di quel tempo… C’è Giovanni, non a caso il nome dell’apostolo preferito da Gesù, il classico amico che si butterebbe nel fuoco per te, ma non sa darti consigli». Altri personaggi, altrettante tracce. «Il brano Quando la buona gente dice, invece, è una sorta di bozzetto a sanguigna, il cui messaggio è “non mostrarti agli altri quando sei ferito o sarai colpito a morte”. Oggi è l’esatto contrario, viviamo in un tempo di squallido voyeurismo». E qui il pensiero indugia sulle tragiche perdite di Francesco Di Giacomo e Rodolfo Maltese, e sulla dignità con cui i loro compagni hanno sottratto il lutto ai riflettori.
MA TORNANDO a quel 1976 riemergono tanti ricordi luminosi: le registrazioni agli Chantalain studios di Bobby Solo, la tournée con i Gentle Giant e la firma con la Manticore di Emerson, Lake & Palmer, che al concerto di Venezia arrivano solo per il bis: «Avevano sbagliato treno e stavano finendo in Austria!». Infine il discorso si coniuga al futuro prossimo. Mentre il primo Lp eponimo — «il Salvadanaio» — e Darwin! festeggiano cinquant’anni, «la ciliegina sulla torta arriverà il 3 maggio, con l’uscita del nuovo album di inediti ispirato all’Orlando furioso. Potresti chiedermi: “Che senso ha scrivere questo tipo di musica oggi?”, lo stesso senso che aveva nel ‘77 registrare Di Terra, album interamente strumentale per gruppo rock e orchestra sinfonica, proprio mentre la disco music ci stava invadendo. Ariosto è di una modernità pazzesca, tante storie d’amore alle quali fa da cornice una guerra enorme. Cosa c’è di più contemporaneo?».
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