Chi aprisse l’antologia Viaggi, sogni e segreti di Vittorio Giardino senza conoscerne le opere maggiori potrebbe avere l’impressione di una raccolta di racconti frivoli, forse imbrogliato dalla languida copertina, dalla bella carta lucida tipica delle pubblicazioni Rizzoli e dal tratto, d’altri tempi, che caratterizza lo stile maturo dell’autore.
Non dobbiamo però farci trarre in inganno. Quest’invito suona ironico, sapendo che le fila che intrecciano queste storie sono proprio la bugia e l’apparenza, ossia i temi intorno a cui girano anche le serie più importanti dell’autore: Max Fridman, un ciclo che unisce storia e spionaggio nell’Europa del 1938, e Jonas Fink, che racconta la turbolenta Praga del secondo dopoguerra. Una caratteristica comune ai due protagonisti è l’impossibilità di agire sul proprio presente, l’ignorarne le sfuggenti macchinazioni, l’essere preda di circostanze che vanno al di là delle proprie forze. Giardino unisce in queste due serie la ricostruzione meticolosa, l’ironia sottile, il gusto per l’avventura e un po’ di quella politica del sospetto tipica di chi ha vissuto gli anni Settanta.
La bugia intima dei rapporti raccontata in Viaggi, sogni e segreti è il correlativo esatto dei non-detti e delle menzogne che, su scala maggiore, condizionano la relazione dell’uomo con la storia. Il mondo è ingarbugliato, a qualsiasi grandezza lo si guardi, e non c’è nessuno che si applichi per sbrogliarne la matassa.

Queste storie brevi contengono, dunque, la stessa ambiguità delle due serie maggiori. Tutte, tranne una, sono uscite originariamente su rivista tra il 1966 e il 2000. Sono presentate per la prima volta in edizione integrale, ordinate tematicamente, introdotte dall’autore che ne spiega con brio l’occasione e lo spirito. Le prime nascono su commissione: il tema «vacanze e infedeltà» era stato proposto da un giornale in mancanza di ispirazione estiva. Tuttavia, sono situazioni che s’inseriscono coerentemente nel percorso di Giardino. Si percepisce il piacere dell’autore nel disegnare scenette dove le attese sono tradite, tanto più se l’ambientazione gli permette di disegnare luoghi lontani o misteriosi, tra Emilio Salgari e Graham Greene. Il racconto diventa così un’officina in cui testare soluzioni e tecniche in vista dei progetti più ambiziosi.

Le storie sono rapide, tutto si svolge nel giro di una ventina di pagine, se non meno. Ci sono le partenze, i segreti, l’erotismo, la mondanità, le citazioni letterarie tanto care all’autore. Il mistero diventa perturbante solo nell’adattamento di una novella di Buzzati; altrimenti, questi racconti rimangono nel mondo del thriller, sfumato da una leggera satira sociale, concluso da finali drammatici, e solo più raramente sono venati da un accento di malinconia. Il disegno di Giardino, erede di una linea chiara che l’autore dice risalire più al giapponismo ottocentesco che alla scuola franco-belga di Hergé e Jacobs, è ricco di dettagli e ornamenti. Mette in scena una realtà scintillante e avventurosa, dove il più piccolo dei particolari diventa il pretesto per una storia. Questa precisione ed eleganza non devono però fuorviare: c’è molta più crudeltà che dolcezza. Anzi, forse queste vicende fanno ancora più paura così descritte, sotto questo tratto preciso e pulito, sicuro come può essere lo sguardo di chi osserva il mondo solo quando è illuminato dal sole di mezzogiorno. Proprio questo tratto però contribuisce a una sorta di sconcerto che turba e intriga.

Nelle storie dell’autore, infatti, poco o niente è quello che sembra, che siano le parole o il disegno a indicarcelo, che sia per brevi scherzetti o per giochi mortali. Il mondo è un posto complicato, e i personaggi di Giardino fanno fatica a districarsi, ne subiscono gli eventi. La destrezza li aiuta, la cultura tiene loro compagnia, ma questo non cambia la sostanza. La vita pragmatica di questi Viaggi, sogni e segreti, poi, diventa ancora più spietata, e divide l’umanità in due schiere: chi ha e riesce a mantenere il sangue freddo, e chi non sa gestire i segreti in cui s’inguaia, e soccombe.

Alla fine, però, fa capolino una morale democratica: il successo di una trama non è che un abbaglio, ed è un illuso chiunque creda di poter governare la propria esistenza. «Un uomo è ciò che nasconde», dice André Malraux ne La condizione umana. Giardino non sembra pensarla diversamente, e invita a stare al gioco.