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Vittore Callegari, storia minima, un piacentino di facciate

Vittore Callegari, storia minima, un piacentino di facciateVittore Callegari, altorilievo per la Camera del Lavoro vicino Porta Genova, Piacenza

Riscoperte nell’arte Vittore Callegari, scultore di talento, rimase imprigionato nella sua provincia, sui rilievi severi, asciutti, dei suoi palazzi novecentisti. Un caso per ragionare di sfortuna e percezione distratta...

Pubblicato circa un anno faEdizione del 23 luglio 2023

Passeggiare senza meta con un amico, una sera d’estate, per le strade semideserte di una città di provincia, è uno dei grandi piaceri che la vita può riservare, e lo è ancora di più se, inaspettatamente, ci imbattiamo in un’opera d’arte tanto dimenticata quanto interessante da farci fermare e decidere di seguire le tracce del suo autore: anche lui, quasi sconosciuto fuori dai confini cittadini.
L’opera in questione, Le Arti, è un altorilievo in terracotta del 1957 e si trova al numero 26 di via Sant’Antonino, nel pieno centro di Piacenza: il nome dello scultore è Vittore Callegari.

Ma partiamo dalla fine, quando il 21 maggio 1971 La Libertà, il quotidiano piacentino per eccellenza, annunciava la morte di Callegari, avvenuta la notte precedente al Policlinico di Pavia: nel riportare la notizia, non poteva fare a meno di usare una certa enfasi, aggiungendo che lo aveva « ucciso la malattia cardiaca (ischemia) che da tempo sovrastava la sua esistenza come una spada di Damocle…».

Senza nulla togliere alla gravità della malattia che pesava sull’esistenza di Callegari da diversi anni, ciò che ne caratterizzò il percorso fu invece una sorta di indefinibile impossibilità di uscire dai ristretti confini di una provincia opprimente, che seppe onorarlo senza però mai sostenerlo davvero, limitandone così in qualche modo le ambizioni tanto da non farlo mai confrontare con i movimenti artistici di quegli anni: destino, questo, condiviso da tutti quegli artisti di talento troppo legati alle proprie varie realtà locali.

La sua è una storia di provincia, di un talento autentico e di opere che avrebbero decisamente meritato un destino migliore. E sì che le aspettative erano tante e gli inizi sembravano promettenti quando il 10 giugno 1934 l’allora quotidiano fascista di Piacenza, La Scure, fondato dal podestà cittadino Bernardo Barbiellini Amidei, commentava le prime opere del giovanissimo Callegari alla mostra Interprovinciale d’Arte esaltandone «lo sforzo di espressività raggiunto con impeto e con accentuata sensibilità artistica… simbolo forse dell’arte plastica del nostro domani…».

Vittore, nato a Caselle Landi nel 1909, aveva allora solo venticinque anni ma già otto anni prima, giovanissimo, aveva partecipato ai lavori per i fregi del monumento piacentino al Pontiere d’Italia di Piazzale Milano, una di quelle tante opere celebrative della fine degli anni venti che, fra un cambio di progetto e un altro in onore alla propaganda allora in auge, accoglie chi arriva dalla Stazione ferroviaria e si avvia verso il centro città con quel misto di ingenuità e retorica certamente discutibile ma non privo di un certo fascino.
Quella di Callegari fu una bohème di provincia: basso di statura, con «gambe corte e passi sodi… un sorriso caldo e lungo che gli cuoce il viso olivigno di ragazzo povero e testardo, con una specie di arroganza plebea negli occhi lustri e nerissimi», si dichiarava «ammalato per l’arte» ma, continuando «a fumare del cattivo tabacco e a ingollare fumo», aggiungeva che se fosse dovuto rinascere un’altra volta avrebbe ancora fatto lo scultore. Callegari e la sua arte erano un tutt’uno, e a guardarlo lavorare veniva da chiedersi dove sognasse di arrivare «con quel viso cotto di terra bruciata, quegli zigomi da tartaro e il sorriso sganasciato di monello; ma che sia nato per questo, per impastare creta e cuocerla al forno… mi sembra cosa più che certa e indiscutibile. Difatti, se lo togliete di lì, se gli ripulite le unghie sporche di gesso e di mota, se lo costringete a nascondere le mani dentro le tasche del suo vecchio soprabito, lo vedete subito sperso e impappinato come una rondine in terra».

Tutto iniziò al «Gazzola», lo storico istituto e scuola d’arte di Piacenza vicino a Piazza Borgo, che, nonostante il cambiare dei tempi e le difficoltà continue, è ancora attivo e vanta peraltro una gran bella collezione di dipinti. Per anni il «Gazzola» fu la vera casa di Callegari, dapprima come semplice studente e poi come insegnante, quando finalmente ebbe la sicurezza del primo stipendio della sua vita e gli allievi gli si affezionarono al punto da darsi il turno fra loro durante le costanti ricadute della malattia per assisterlo nella sua modesta abitazione di via XX Settembre 81, dove viveva solo.

Curioso il destino di questo artista che, seppure quasi sconosciuto fuori Piacenza, è di gran lunga il più rappresentato nelle sue strade e sulle facciate dei suoi palazzi moderni, e questo fa sì che i suoi concittadini ne abbiano «quella percezione distratta che riserviamo all’architettura che conosciamo troppo o non conosciamo affatto, per consuetudine a viverci». Il motivo di ciò si deve principalmente alla famosa cd. legge del 2 per cento che imponeva ai comuni di destinare tale percentuale alla realizzazione di opere d’arte negli interventi pubblici. Vittore vinse molti dei concorsi ai quali partecipò e così, fra i tanti, l’ingresso della prima succursale della Cassa di Risparmio in via Cavour, la parete nord dell’Itis Marconi, un condominio a Barriera Genova, un’ala della scuola «Casali», la facciata del palazzo Europa tra via Torricella e via Alberoni sono luoghi dove ammirarne le opere sempre severe, asciutte, misurate, intriso «di forte senso etico, frenato negli slanci sperimentali… ma non estraneo al proprio tempo».

Un altro luogo dove trovare le sculture di Callegari a Piacenza è la Galleria Ricci Oddi, bellissimo museo che, oltre al famoso dipinto di Klimt misteriosamente rubato e ancor più misteriosamente ritrovato dopo circa vent’anni, vanta una delle più interessanti collezioni italiane di pittura e scultura a cavallo fra Otto e Novecento. Nelle eleganti sale della galleria progettata dall’architetto Giulio Ulisse Arata troviamo l’ultima opera di Callegari, La Chimera (1977), una scultura in lega metallica che ormai si discosta dal lavoro più noto e riconoscibile dello scultore, quello incontrato sulle facciate dei palazzi cittadini, senza tradirne però l’evidente ispirazione.
Per concludere ciò che meriterebbe senz’altro uno studio più lungo e approfondito e per limitarci invece a terminare la passeggiata di provincia, notiamo che un destino comune sembra avvolgere la figura di Callegari, delle sue opere e dei luoghi dove ha vissuto e lavorato o dove le sue sculture si trovano ora esposte; posti ricchi di storia, con opere che da sole meriterebbero un viaggio e che appaiono invece inspiegabilmente relegate fuori dai circuiti turistici, quasi mai visitati e anzi protetti da un alone di riservatezza – o indifferenza – da parte dei piacentini stessi, ma d’altra parte, per citare il verso di una famosa canzone, «tutto questo lo sai e sai dove comincia la grazia o il tedio a morte del vivere in provincia».

PS: grazie agli amici Nicolò, per le lunghe passeggiate piacentine, ed Eugenio Gazzola, per avermi fornito tutte le notizie e le informazioni di base su Vittore Callegari.

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