Vittime e carnefici, la metafora dell’ambiguità
A teatro Angelo Savelli adatta per il teatro di Rifredi un'opera del drammaturgo spagnolo Josep Maria Mirò. «Il principio di Archimede», un testo dai connotati di forte attualità sul tema delle molestie
A teatro Angelo Savelli adatta per il teatro di Rifredi un'opera del drammaturgo spagnolo Josep Maria Mirò. «Il principio di Archimede», un testo dai connotati di forte attualità sul tema delle molestie
L’effervescente laboratorio iberico, anzi quello catalano, ci fa conoscere oggi un nuovo interessante drammaturgo, il quarantenne Josep Maria Mirò (solo omonimo del già noto Pau Mirò), nel suo paese anche regista, e di cui Angelo Savelli ha portato ora al Teatro di Rifredi Il principio di Archimede (in scena fino a domenica 25). Il testo è stato rappresentato in numerosi paesi, e per il tema che affronta ha implicato dovunque una forte connotazione civile. Manca solo il caratteristico odore di cloro, ma su due gradinate contrapposte di pubblico, è subito evidente che siamo negli spogliatoi di una piscina, con tutti gli armadietti in fila. Per la precisione negli spogliatoi degli istruttori.
Gli allievi nuotatori sono bambini, e non li vedremo mai, ma la loro presenza, quasi un vago odore di borotalco, è forte e vicina: sono vittime o carnefici del dramma che si consuma in scena? Un giovane istruttore, Jordi, ha rincuorato un piccolissimo che esitava a buttarsi nell’acqua per paura, lo ha abbracciato e sfiorato con un bacio. Una bambina chissà perché lo ha raccontato ai propri genitori, aggiungendo che il bacio era «sulla bocca».
Di qui lo scandalo delle molestie a un minore, le preoccupazioni dei genitori che dalle minacce arriveranno ad assalire il complesso natatorio, mentre all’interno, tra armadietti e salvagenti, divampa un dramma meno rumoroso ma non meno crudele.
L’autore ha fatto due scelte che si rivelano drammaturgicamente vincenti. Non ci dà una univoca soluzione finale, ma preferisce mostrarci gli effetti destabilizzanti che l’accusa rapidamente provoca. Innanzitutto nel giovane istruttore condannato a difendersi senza prove attendibili (Giulio Maria Corso attore già maturo e di grande sensibilità), che sceglie anzi di non ricorrere a concessioni difensive, sentendosi forte della propria «onestà» e correttezza, seppure abituato a un rapporto affettivo con i bambini, che infatti lo preferiscono a tutti gli altri.
L’altro elemento forte della narrazione è la non sequenzialità delle scene, così che le azioni portano il punto di vista dei diversi personaggi (la direttrice della piscina Monica Bauco, il collega timoroso Samuele Picchi, il padre infuriato Riccardo Naldini). Sta ad ogni spettatore farsi il proprio «montaggio» cinematografico dello scorrere e precipitare degli eventi. Che non è un semplice fatto cronologico, ma reazione partecipata a uno spettacolo che parla insieme al cuore e alla ragione.
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