Cultura

Vito Mancuso: «Come non perdere la fiducia nell’umano»

Vito Mancuso: «Come non perdere la fiducia nell’umano»Vito Mancuso davanti alla Bicocca di Milano

L'intervista «Durante questa pandemia viviamo una quotidianità fatta certamente di paura, ma controllata e letta alla luce della saggezza». Parla il teologo e filosofo che ha riunito le figure di Socrate, Buddha, Confucio e Gesù in «I quattro maestri» (Garzanti) e che durante il lockdown dell'inizio di quest'anno aveva scritto «Il coraggio e la paura», pubblicato dallo stesso autore

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 1 dicembre 2020

Distinguere l’umano dal disumano. E scegliere di essere pienamente e profondamente umani. È il filo rosso che lega i due libri più recenti del teologo e filosofo Vito Mancuso: I quattro maestri (pp. 528, euro 19), appena pubblicato, e Il coraggio e la paura (pp. 140, euro 12), uscito da qualche mese, entrambi per Garzanti. Il tema è la spiritualità, intesa non in senso confessionale ma laico: la ricerca dell’energia interiore che consente di rintracciare «l’umano nell’uomo» e viverlo.

Mancuso, chi sono i «quattro maestri»?
Sono Socrate, Buddha, Confucio e Gesù, le stesse quattro «personalità decisive» individuate a suo tempo dal filosofo tedesco Karl Jaspers, coloro che hanno avuto più influsso in quella che Gadamer chiama «storia degli effetti».

Tre di questi maestri hanno a che fare con le religioni: come mai?
In realtà tutti e quattro sono figure religiose, perché se da Socrate si elimina il daimònion, si taglia la connessione con la dimensione spirituale, e non è più Socrate. Infatti viene condannato a morte per empietà, anzi per eresia: Socrate è uno dei grandi eretici della storia dell’occidente, perché introduceva nuove divinità, diverse dalle divinità esteriori.

Per le istituzioni religiose questo sarebbe sincretismo, relativismo…
Se il fine è l’appartenenza a una religione, allora bisogna sceglierne una. Se invece lo scopo della vita è raggiungere la felicità, non nel senso superficiale del termine ma come salute fisica, psichica e interiore, come energia positiva, se è restare umani e le religioni non sono il fine ma uno strumento, allora non bisogna scegliere, bensì scandagliare il proprio «interno» e cercare volta per volta i nutrimenti giusti. Non è il relativismo, ma la relatività delle religioni.

Ogni «maestro» ha una caratteristica essenziale. Socrate?
È l’educatore alla virtù, cioè a essere una persona giusta. Il suo discepolo ideale vuole studiare se stesso in profondità, per diventare capace di ragionare, di pensare, di agire.

Buddha?
È il medico, ha lo sguardo di chi vede e sente il dolore che emerge da ogni vivente e ne prova compassione. La diagnosi è la sofferenza, la risposta sono le quattro nobili verità, in particolare «l’ottuplice sentiero» come via per la guarigione. Il pensiero buddhista è terapeutico, un sistema per guarire e lenire le sofferenze.

Confucio è il politico.
È il politico che ha a cuore l’essere umano in quanto animale sociale, per lui ciascuno si compie non individualmente ma socialmente. Il contrario del Buddha: il Buddha ragiona sul singolo nella sua solitudine, Confucio riconduce il singolo alla dimensione sociale, alla ritualità, alla conformità con le grandi tradizioni del passato. Non a caso il suo pensiero è stato per più di duemila anni un formidabile instrumentum regni da parte del «Celeste impero» cinese, e anche per la Cina di oggi.

Infine Gesù, il profeta.
Il messaggio di Gesù è diverso da quello del cristianesimo. L’annuncio del cristianesimo è la morte, la risurrezione e la nuova venuta di Gesù. Il messaggio di Gesù è fondato su un verbo all’indicativo, il Regno di Dio «è» imminente, da cui consegue un imperativo: convertitevi, cambiate vita. Il suo messaggio è la profezia, l’utopia, il mondo come dovrebbe essere, ovvero caratterizzato dalla giustizia. Per Gesù la giustizia è il valore più alto, ancora più dell’amore. E la costruzione della giustizia è l’impegno di tutti.

Questo significa trovare «l’umano nell’uomo», come scriveva Vasilij Grossman, a cui è dedicato il libro, e «restiamo umani, come ripeteva Vittorio Arrigoni, che citi nel primo capitolo?
La libertà che si compie come bontà: questo è l’umano nell’uomo, questo significa restare umani. Trasformare la libertà in giustizia.

Nel precedente volume, scritto durante il lockdown, si afferma che non è il coraggio a vincere la paura, bensì la saggezza, che è la «luce dell’intelligenza unita al calore del cuore». Oggi, nella cosiddetta «fase 2», prevale la saggezza o ancora la paura?
Se ci si ferma a quello che passa sui media è facile scoraggiarsi. Eppure io credo che sotto questa schiuma ci sia una quotidianità fatta certamente di paura, perché problemi e difficoltà esistono, ma una paura controllata e letta alla luce della saggezza. Se non vincesse la dimensione della saggezza, lo stesso tessuto umano non esisterebbe, sarebbe la lotta di tutti contro tutti, la guerra fratricida.

In politica molti agitano la paura, non per superarla, ma per trasformarla in consenso.
Concordo totalmente. «Impaurite le persone e faranno tutto quello che volete», diceva Göring. Il bisogno primordiale degli esseri umani è la sicurezza, quindi intimorire le persone e poi presentarsi come uomo della sicurezza è una strategia precisa. Non solo nella nostra piccola Italia.

Il coraggio è la «forza morale». Il cerchio si chiude, si torna ai maestri…
Tutti, credenti e non, dovrebbero chiedere a se stessi qual è la fonte da cui attingere quella forza morale per non diventare cattivi, nel senso latino di «imprigionati», per non perdere fiducia nell’umano, per credere nella giustizia, nella dimensione politica dello stare insieme e del lottare per un mondo più giusto. E la ricerca della risposta si chiama spiritualità.

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