Visioni

Vite rinchiuse dentro i confini dello stereotipo di genere

Vite rinchiuse dentro i confini dello stereotipo di genere

Al cinema «Normal» di Adele Tulli, una riflessione sul concetto di normalità all'interno di modelli dominanti che si tramandano da secoli

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 9 maggio 2019

Una bambina che sta per indossare i suoi primi orecchini, motociclisti in erba che spingono a tutto gas (più preoccupati di obbedire alle aspettative paterne che realmente presi dall’agone sportivo), una fabbrica in cui si confezionano giocattoli: assi da stiro e pentoline per le bimbe, instradate fin da piccole all’accudimento del nido, giochi di meccanica per i maschietti, di certo più portati per mansioni qualificanti. Imprinting che rispondono naturalmente a un canone consolidato e tramandato per secoli.

Sport «tipicamente maschili», pratiche estetiche ad uso femminile e corsi di coolness per aspiranti «maschi alfa». Situazioni comuni, «normali» in una società omologante in cui si compie ogni sforzo per catalogare e appiattire senza eccezioni.
Ma cos’è la normalità? Si è normali (solo) quando si aderisce a un modello dominante? Quando l’esistenza si consuma all’interno dei rassicuranti confini dello stereotipo? Sono alcuni degli interrogativi che sorgono nell’approcciarsi al lavoro di Adele Tulli, la quale, però, non offre risposte. Nel suo documentario Normal colleziona spunti, osserva, propone situazioni utili a intavolare una discussione in cui lo stereotipo di genere è solo la punta dell’iceberg.

SE LA RICOGNIZIONE socio-antropologica di Tulli, infatti, parte da un concetto di femminilità e virilità di massa opportunamente e progressivamente orientato, lo spettro d’analisi pian piano si allarga fino ad abbracciare la «banalità del normale» in senso più ampio, passando in rassegna rituali comuni del costume italiano dal servizio fotografico per immortalare «il giorno più bello» ai corsi di zumba sulla spiaggia, dal corso in piscina per future mamme a quello in chiesa per futuri sposi (e mogli devote). Nell’osservazione di Tulli, metafora di una società che oltre a perpetuare il patriarcato annulla sistematicamente l’unicità del singolo, non c’è spazio per il diverso, per chiunque provi a rompere gli schemi andando controcorrente (alla fine anche la coppia gay che convola a giuste nozze finisce per ricalcare l’omologazione). Il che dimostra quanto sia ancora lungo e difficile il cammino verso un risveglio delle coscienze che possa finalmente renderci liberi.

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