“Vita familiare”, diritto senza legge
Sentenze Dalla Cassazione alla Corte di Strasburgo: l'eterna messa in mora del parlamento italiano sui diritti delle coppie omosessuali
Sentenze Dalla Cassazione alla Corte di Strasburgo: l'eterna messa in mora del parlamento italiano sui diritti delle coppie omosessuali
La legge ancora non c’è, di sentenze invece ce ne sono anche troppe. La Cassazione tre anni fa, la Corte di giustizia europea quest’anno hanno raccomandato al parlamento italiano di riconoscere il diritto delle coppie omosessuali al matrimonio. Recentemente (a settembre) l’ha fatto anche il parlamento europeo, in una raccomandazione indirizzata all’Italia e agli altri otto paesi che ancora non riconoscono «le unioni di fatto registrate e il matrimonio» alle coppie dello stesso sesso. Come noi solo Grecia, Cipro, Lituania, Lettonia, Polonia, Slovacchia, Bulgaria e Romania.
All’origine, nel nostro paese, una sentenza della Corte costituzionale dell’aprile 2010 (relatore il giudice Criscuolo, oggi presidente della Corte) in cui si chiudeva la porta all’equiparazione: «Le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio», ma già allora si chiedeva al parlamento di intervenire per garantire a tutti «il diritto di vivere liberamente una condizione di coppia ottenendone il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri».
Tre anni (e nessuna legge) dopo, una storica sentenza della prima sezione civile della Cassazione (presidente Maria Gabriella Luccioli) stabilì che anche in Italia deve considerarsi superata «la concezione secondo la quale la diversità di sesso dei nubendi è presupposto indispensabile della stessa esistenza del matrimonio». Era, di nuovo, un problema di leggi mancanti. La Cassazione si trovò così a dover respingere il ricorso di una coppia omosessuale di Latina, che aveva chiesto senza ottenerla la trascrizione delle nozze celebrate in Olanda. Un respingimento obbligato non più dall’inesistenza o invalidità delle nozze, ma dai limiti dell’ordinamento italiano. Perché, scrisse nel 2013 la Cassazione, le coppie omosessuali hanno diritto «a una vita familiare» e a «un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata».
Ma il legislatore è rimasto inerte, e così è arrivato adesso – sul piano del diritto amministrativo – il Consiglio di stato. Nel frattempo la stessa sezione della Cassazione, a febbraio di quest’anno, aveva sentenziato che perdurando la latitanza del parlamento «l’operazione della omogeneizzazione dei diritti e dei doveri» delle coppie omosessuali con quelle etero, «può essere svolta dal giudice comune che è tenuto a un’interpretazione delle norme non soltanto costituzionalmente, ma anche convenzionalmente orientata». In linea cioè con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, presidiata dalla Corte europea dei diritti umani. Che infatti a luglio di quest’anno si è espressa chiaramente, condannando l’Italia per la violazione dei diritti degli omosessuali e imponendo anche un risarcimento in favore delle tre coppie ricorrenti. Ancora una volta, inutilmente.
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