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Vita e fortune di un capolavoro lunare

Book Note L’inesauribile possibilità di interpretazione per i classici è un felice paradosso: invece di minare la forza originaria, il labor limae a caccia di significati e angoli prospettici prima ignorati o […]

Pubblicato più di un anno faEdizione del 8 luglio 2023

L’inesauribile possibilità di interpretazione per i classici è un felice paradosso: invece di minare la forza originaria, il labor limae a caccia di significati e angoli prospettici prima ignorati o trascurati accresce la forza visionaria di ciò che si è convenuto di definire così, classico. Succede in ogni campo dell’arte, succede in musica, nelle musiche popular, che sbrigativamente definiamo «rock», ma che al proprio interno contengono sia declinazioni folk, sia meri esercizi di condiscendenza verso il mercato, sia profili d’arte innegabili. Se proprio, poi, dovessimo tirare le somme del tutto, forse un solo disco nella storia del rock assommerebbe tanti pareri convergenti sul fatto che sia un «classico», dunque nel proprio tempo e assieme scorporato dal tempo. Si sarà compreso, ritorniamo qui al mezzo secolo di vita e fortuna di The Dark Side of the Moon. Oggetto di celebrazioni, ricordi, analisi serie e operazioni di mercato quasi senza confronto, ma c’era da aspettarselo, in un mondo iperveloce nella trasmissione orizzontale della nuova musica, ma quasi incapace di produrre «classici» riconoscibili come tali già ai primi sentori, o pseudo tali, perché pienamente ascrivibili alla triste categoria della «retromania» di cui scriveva Reynolds. In Italia girava già un libro su Dark Side of the Moon, e interessante, The Dark Side of the Moon/Genesi storia eredità del capolavoro dei Pink Floyd, traduzione italiana dell’opera del giornalista inglese John Harris. Adesso arrivano per Mimesis le documentate e strutturate 270 pagine di The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd/Nel (micro)solco della follia, scritto da Marco Dainese, filologo musicale e docente, concertista classica (viola e canto lirico), gran conoscitore del prog rock. Scorrono oltre cento pagine sul contesto musicale, sociale, artistico in genere che ha contribuito a generare il capolavoro floydiano: un’analisi minuziosa che poi diventa affondo sistematico (mai pedante) nell’affrontare i contenuti testuali e musicali del disco del prisma con i più attendibili insegnamenti maturati in questi anni dalla critica internazionale che si occupa di musica popular e di note afroamericane in genere. Chapeu, come si suol dire, augurando una traduzione internazionale del testo. Chi volesse gettare uno sguardo complessivo sulla rilevanza iconografica di band e disco si procuri The Dark Side of the Moon 50° anniversario, libro in formato ellepì per Rizzoli Lizard, con centoventinove foto a ripercorrere le tracce impresse nella pellicola della memoria.

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