I fan la chiamavano «la voce», ed è quella voce la vera protagonista di Whitney – Una voce diventata leggenda. L’attrice inglese Naomi Hackie interpreta con convinzione la luminosa pop star del New Jersey nel biopic diretto da Kasi Lemmons (Harriet, Eve’s Bayou), ma è la voce della stessa Houston che esplode dallo schermo nel generoso susseguirsi delle canzoni a cui è effettivamente ancorato il film – più che alla prevedibile sceneggiatura di Anthony McCarten, che pare scritta per uno speciale da Lifetime TV piuttosto che per il cinema.
I primi passi musicali nel coro della chiesa di Newark; il momento della «scoperta» nel locale newyorkese Sweetwater’s, quando era solo una timida chorus girl nel gruppo della mamma Cissy; la love story, contrastata dai genitori, con la compagna di scuola/migliore amica Robyn Crawford; il makeover da «ragazza della porta accanto» a sex symbol in lamé; il tempestoso matrimonio con Bobby Brown; l’ambivalenza nei confronti della fama; le accuse di fare una musica troppo «bianca», l’alcol la droga, la rovina economica provocata dalla scelleratezza finanziaria del padre; la morte prematura – Una voce diventata leggenda tocca tutte le stazioni della tipica via crucis da pop star.
Ma si redime dalla piattezza totale, oltre che nei numeri musicali ricostruiti con cura (specialmente quelli storici) e a cui viene dato molto spazio, grazie all’aura di affettuosa intimità che stabilisce con il suo soggetto. La naturalezza di quell’intimità non è un caso: dietro alla produzione è Clive Davis, ex presidente della Arista Records, la casa discografica di Houston, e suo collaboratore molto stretto.

SE IL RITRATTO di Davis (Stanley Tucci, bravissimo) può sembrare un po’ self serving (non mi immischio in questioni personali, dichiara diplomaticamente quando firmano il contratto, esimendosi quindi da qualsiasi responsabilità extra musicale), le scene tra il produttore e l’artista – in studio o nell’ufficio di lui – sono tra le più belle e autentiche. Houston non scriveva le sue canzoni, ma aveva un grande intuito per quelle che potevano funzionare per la sua voce eccezionale, e per il suo personaggio. Era disposta a cambiare registro, a confondere le aspettative. Una voce diventata leggenda apre uno spiraglio anche su quell’aspetto meno riconosciuto della sua creatività.