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Visions of Mana, dal pianeta malato

Visions of Mana, dal pianeta malato

Games Per Playstation, Xbox e PC, il quinto e migliore episodio, insieme al secondo del 1993 (Secret of Mana), della serie di Square-Enix

Pubblicato circa un'ora faEdizione del 28 settembre 2024

Il mondo di Visions of Mana palpita leggiadro dei mille colori di una meraviglia «anime» che tingono dolci forme anche laddove la natura si ritira ferita o si rivolta malvagia. Tuttavia questo diffuso splendore policromatico è ingannevole, perché illumina indifferente il trascorrere delle tragedie che si consumano durante la lunga via di liberazione dal dolore percorsa dai protagonisti; una sofferenza che non è quella del sé ma di un pianeta malato che deve essere curato, con il proprio sacrificio.

I giovani prescelti per salvare il mondo con il loro olocausto presso un albero divino affinché questo risani il mondo morente, viaggiano con una tenera abnegazione, lieti di immolarsi per la collettività, accettando il loro estremo dovere con la gioia stralunata dei kamikaze; almeno finché qualcosa in essi muta e l’amore fa sorgere i primi dubbi sul drastico obbligo di immolazione, perché l’amore esclude tutto il resto. Così l’avventura di Visions of Mana, per lo più incompresa da tanta critica o considerata banale da sguardi superficiali, si rivela essere una meditazione sulla crudeltà della necessità e sull’inganno della fede, malgrado la sua estetica così bella, favolosa e persino puerile in un’accezione positiva. Una profonda e grave speculazione, una visione dolorosa dissimulata in una fiabesca amenità.

Visions of Mana per Playstation, Xbox e PC è il quinto e migliore episodio, insieme al secondo del 1993 (Secret of Mana), di una serie di Square-Enix meno popolare di Final Fantasy, sebbene anche gli ultimi episodi delle fantasie finali non abbiano venduto secondo le aspettative in questi tempi barbari. Si tratta di un gioco di ruolo d’azione che ci pone nei panni sgargianti e sempre mutevoli, secondo un sistema raffinato di classi determinate dagli elementi della natura, di alcuni giovani eletti e del loro difensore costretti ad intraprendere una lunga e sofferta epopea attraverso spazi vasti, lussureggianti, liquidi e pietrosi, il cui obiettivo è appunto il supplizio finale.

Ci sono l’eroico Val a cui tocca la salvaguardia degli altri e che perderà in maniera dolorosa la propria ottimista ingenuità; la candida e sognante Hinna che nasconde la paura dietro i suoi occhi enormi; la giuliva e dispettosa quanto saggia Careena, fanciulla drago da un’ala sola; il semi-felino Morley dall’infanzia traumatica; l’acquatica regina Palamena che rinuncia al trono per intraprendere l’infausto pellegrinaggio; il vegetale e malinconico piccolo Julei con le sue ballate. Ognuno di questi caratteri è consapevole del proprio ruolo, onorato dalla responsabilità e all’inizio più che felice, straniato in una sorta di «carpe diem» prima della fine; ma il disagio serpeggia, lo struggimento si fa malcelato come quello di tanti giovani costretti loro malgrado a immolarsi per la patria al suono di fanfare nazionalistiche in guerre scellerate. Il sospetto che si possa salvare il pianeta senza sacrificarsi e la convinzione che la ribellione sia cosa buona e giusta si fanno largo sempre più nelle loro giovani coscienze, maturate durante il viaggio a causa del lutto e della sofferenza ma oppresse dal senso di colpa che una loro diserzione significherebbe.

Durante un’avventura che è esplorativa in una maniera lenta e grandiosa anche quando in groppa a lupi o creature natanti o volanti, è fondamentale il combattimento contro i mostri, taluni dall’aspetto buffo ma comunque pericolosi, altri terrificanti. Gli scontri possono essere facilmente evitati e non sono mai invasivi e preponderanti ma sono necessari alla salita di livello ed eluderli sarebbe controproducente, come da tradizione nel genere.

Si lotta con un personaggio solo mentre gli altri si muovono in maniera autonoma e c’è tuttavia l’opzione di trascorrere in tempo reale da un personaggio all’altro per controllarlo e sperimentare poteri differenti. Le battaglie sono immediate, spettacolari e divertenti grazie ad innumerevoli possibilità offensive e difensive fondate su spade, lance, ventagli, pugni e magie connesse agli elementi, ma solo raramente risultano davvero impegnative se si indovinano le debolezze dei nemici; scegliendo modalità più difficili, che si consigliano ai giocatori più esperti, il gioco diventa assai più ostico richiedendo concentrazione e strategia. Nel corso della trama principale si possono affrontare alcune missioni secondarie che sebbene non siano così originali e articolate hanno il pregio di indurre a esplorare tutti i luoghi possibili e a conversare con i tanti e non logorroici ma illuminanti abitanti.

Oltre allo splendore dei panorami, al disegno dei personaggi e delle creature, il comparto artistico di Visions of Mana brilla anche per le musiche assai ispirate, liriche, umanistiche e biologiche nel tentare di riprodurre una romantica voce della natura, composte da Hiroki Kikuta, Ryo Yamazaki e Tsuyoshi Sekito.
Sebbene alcuni veterani della serie di Mana, come Koichii Ishi e Haccan, abbiano lavorato al titolo, questo è stato principalmente sviluppato per Square-Enix da Ouka Studios, una sottodivisione giapponese del colosso cinese NetEase. Poco dopo l’uscita di Visions of Mana, NetEase ha chiuso Ouka Studios, un fatto più che drammatico considerato il lavoro eccezionale svolto sul gioco in questione, un’altra chiusura tra le tante in questi mesi di crisi terribile dell’industria videoludica, per i lavoratori almeno, non per i vertici che galleggiano ancora sul mare di stipendi milionari.

Visions of Mana avrebbe meritato senza dubbio più amore e successo, anche qui in Italia dove è stato vittima di un certo ostracismo perché non è tradotto nella nostra lingua, sebbene comunque ci sia l’opzione dell’inglese.

Può essere, se il tempo sarà gentile, che Visions of Mana diventi un’opera di culto, ma è invece assai probabile che affondi dimenticato nella torbida e asfissiante palude di mediocrità alimentata da un’industria sempre più disumana e artificiale nell’illusione fallimentare di continuare ad alimentarsi.

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