Nella notte fra lunedì e martedì è stata approvata la Direttiva europea sul salario minimo. Luca Visentini, segretario della Confederazione dei sindacati europei (Ces) è stato uno dei protagonisti della lunga trattativa fra Commissione, parlamento e consiglio d’Europa.

Luca Visentini, segretario della Ces

Visentini, come valuta il testo finale della Direttiva europea sul Salario minimo?
La trattativa è stata molto complicata: è andata avanti per un anno e mezzo – come accade sempre per una Direttiva – ma nella fase finale è stato arduo arrivare a un compromesso. Il risultato è abbastanza soddisfacente anche se l’applicazione varierà da paese a paese.

In sostanza c’è un doppio binario: un testo per i paesi che già hanno una legge sul Salario minimo e un altro per i pochi – compresa l’Italia – che non ce l’hanno, giusto?
Sì, per i 21 paesi su 27 che hanno già una legge sul Salario minimo la Direttiva prevede la richiesta di alzarlo almeno al 50% del valore medio e al 60% del valore cosiddetto mediano: sono state dunque sostanzialmente accolte le richieste che avevamo portato avanti come Ces. Infine si chiede di eliminare le deroghe all’applicazione del salario minimo presenti in parecchi paesi: ad esempio per gli apprendisti o i disoccupati di lungo periodo che hanno valori più bassi. In qualche nazione addirittura c’è una soglia più bassa per i lavoratori migranti.

Per l’Italia invece?
Per quanto riguarda i sei Paesi – compresa l’Italia – che non hanno una normativa sul salario minimo c’è una grossa spinta alla contrattazione collettiva: ogni paese entro 2 anni dovrà presentare Piani di azione per portare la copertura dei contratti al 70% dei lavoratori. È per noi la parte più importante assieme alla rimozione degli ostacoli alla sindacalizzazione e ai comportamenti antisindacali – specie delle multinazionali – e, infine si introduce l’obbligo di applicazione dei contratti negli appalti pubblici.

Per l’Italia dunque quale strada si apre? La Direttiva non implica la fissazione di un salario minimo orario per legge.
No. E io credo che la strada migliore sia l’applicazione erga omnes dei minimi dei contratti nazionali. L’effetto più importante sarà quello di sbloccare un dibattito paralizzato e aprire la strada al rinnovo dei contratti e ad aumenti salariali in linea con l’inflazione galoppante.

In parlamento si stava per discutere la proposta di legge dell’ex ministra M5s Nunzia Catalfo: 9 euro l’ora di salario minimo orario per i lavoratori non coperti da contratto nazionale.
Io penso che la proposta Catalfo rischi di far arretrare la contrattazione. La proposta migliore è quella del ministro Andrea Orlando che chiede di applicare come salario minino del settore il Trattamento economico complessivo risultante dai minimi del contratto nazionale. È una strada già applicata con successo da molti paesi in Europa – recentemente la Finlandia – che rafforza la contrattazione e spinge i lavoratori a sindacalizzarsi.

Ma non sembra facile applicare erga omnes i contratti nazionali. E in più alcuni contratti hanno minimi salariali inferiori ai 9 euro. Senza contare che non vengono quasi mai applicati a precari e stagionali…
In realtà l’applicazione erga omnes dei contratti la si fa in mezza Europa ed è prevista all’articolo 39 della Costituzione. Era prevista anche in Germania che ha deciso di toglierla facendo così scendere la copertura dei contratti nazionali dall’80 al 54%, rendendo necessario l’introduzione del salario minimo. Ma anche i sindacati ritengono un errore aver tolto l’erga omnes. Nei paesi nordici – allergici per tradizione ai salari minimi – invece l’applicazione erga omnes ha dato ottimi risultati: salari alzati, sindacalizzazione in ascesa. Quanto a precari e stagionali e lotta ai contratti pirata in Italia il problema è reale e l’introduzione di un salario minimo va considerata. L’alternativa – ripeto, fattibile – è una legge che, dopo l’accordo fra le parti sociali, allarghi l’applicazione dei minimi dei contratti anche a precari e stagionali, senza dimenticare anche quelli che noi definiamo “lavoratori autonomi economicamente dipendenti dai loro committenti”: l’uso smodato delle partite Iva in Italia. Per fare questo però serve la volontà politica di mettere al centro il lavoro e i salari.

Questa volta l’Europa ci ordina di alzare i salari. Quando ci ha ordinato di tagliare pensioni e spesa pubblica lo abbiamo fatto subito. Ora tarderemo…
È la prima volta che l’Europa legifera sui salari. Dopo il periodo buio di Barroso bisogna dare atto che Von Der Lyen e il commissario Schmit stanno imprimendo una svolta sociale che dobbiamo sfruttare.