Cultura

«Virus classista», tra contraddizioni e vulnerabilità

«Virus classista», tra contraddizioni e vulnerabilità

SAGGI A proposito dell'ultimo libro dello psichiatra Benedetto Saraceno, sulle diseguaglianze provocate dalla pandemia

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 31 agosto 2021

La pandemia ci ha mostrato, fin da subito, che cosa non va nel nostro modello di sviluppo, per quanto non sembri che riusciamo a far tesoro dei suoi insegnamenti.

In un piccolo ma prezioso libro, Un virus classista. Pandemia, diseguaglianze e istituzioni (edizioni Alphabeta Verlag, pp. 112, euro 12), lo psichiatra Benedetto Saraceno (formatosi alla scuola triestina di Basaglia, e poi per quindici anni a capo del Dipartimento di salute mentale e abuso di sostanza dell’Oms) evidenzia le radicali insufficienze del sistema sanitario e del welfare portate alla luce dalla pandemia. Che si possono riassumere da una parte nella sottovalutazione dei determinanti sociali della salute (così come per le patologie psichiatriche, la povertà incide in ogni forma di patologia) e dall’altra nella progressiva privatizzazione del sistema sanitario.

NON SI RIFERISCE SOLO alla psichiatria, Saraceno, ma a tutto il sistema sanitario: quel che vale per le fragilità psichiche vale anche per tutte le altre vulnerabilità. In questo senso, la psichiatria istituzionale, che era stata messa in crisi dalla riforma basagliana e che poi è tornata alle sue pratiche di esclusione sociale nell’era del trionfo neoliberale della «società degli individui», è una cartina di tornasole dell’intero sistema sociale. Anzitutto, il modello residenziale, che di fatto esclude dal tessuto sociale i soggetti portatori di qualsivoglia disabilità, «vite di scarto», si è rivelato disastroso: l’ecatombe nelle Rsa (e specialmente in quelle della sanità ragionale lombarda, all’avanguardia nel processo di privatizzazioni) sta lì a dimostrarlo.

L’EMERGENZA, scrive Saraceno, ha evidenziato due criticità storiche dei nostri sistemi di salute: lo smantellamento della medicina di prossimità e del welfare di territorio e di comunità, e lo sviluppo incontrollato del modello residenziale per le popolazioni fragili e vulnerabili. Invece, si tratterebbe di superare la separazione fra sociale e sanitario, superando i grandi istituti e creando nuclei piccoli inseriti nel tessuto urbano. Da quindici anni a questa parte, a Trieste si è sperimentato un modello che va in questa direzione, quelle delle microaree, che meriterebbe di essere preso ad esempio (su questo tema, c’è un altro importante libro edito sempre da Alphabeta Verlag nella collana 180, La città che cura, a cura di Giovanna Gallio e Mariza Grazia Cogliati Dezza).

Spostare il centro del sistema sanitario dall’ospedale alla comunità è un obiettivo politico fondamentale, che purtroppo anche chi reclama oggi la «medicina territoriale» non ha compreso, nel momento in cui fa del green pass il nemico assoluto, laddove esso è esclusivamente una risposta emergenziale e provvisoria. Che sia la destra leghista che privatizza a farsi portatrice di una «battaglia di libertà» contro il vaccino è la prova di come quella sia una lotta che guarda all’obiettivo sbagliato.
Il libro di Saraceno, in questo senso, è un programma politico di lungo periodo che dovrebbe stare al centro di qualsiasi progetto politico di sinistra.

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