Visioni

Violenza distopica tra finzione e realtà

Violenza distopica tra finzione e realtà

Al cinema «La prima notte del giudizio» di Gerard McMurray, prequel e quarto capitolo della saga thriller firmata Blumhouse

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 12 luglio 2018

Lo statement è esplicito, come il nesso con l’America di Trump (e non solo con quella). E non è ovviamente un caso se negli Stati Uniti La prima notte del giudizio (The Fist Purge), quarto capitolo e prequel della saga firmata Blumhouse, raggiunge le sale il 4 luglio, durante i festeggiamenti dell’Independence Day.
Quello che vediamo è un Paese in ginocchio: disoccupazione alle stelle, crisi economica senza precedenti, e al centro dello schermo, fin dalle prime inquadrature, la rabbia pronta a esplodere di una generazione senza futuro. Il popolo pretende cambiamento.

E allora elegge (democraticamente) al governo una nuova forza populista, i Nuovi Padri Fondatori d’America, abili nell’intercettare il malcontento diffuso con la promessa di rilanciare il Paese per riportarlo agli antichi fasti. E mentre la società cola a picco, ecco l’idea: un esperimento sociale, «lo sfogo», ossia 12 ore di criminalità legalizzata con l’obiettivo di abbassare il tasso di criminalità durante il resto dell’anno. Prima sperimentazione da mettere a punto a Staten Island, quartiere-isola popolare e multi-etnico di New York, con l’idea di estendere il progetto in tutti gli altri Stati qualora ottenga il successo auspicato.

Quella che probabilmente un tempo non avremmo esitato a definire «visione distopica» della società, oggi è una paradossale forma di «cinema del reale» o di pedissequa descrizione dei fatti, per quanto il presente politico si trova drammaticamente vicino alla sua rappresentazione. In una versione cinematografica persino anestetizzata. Se Gerard McMurray strizza inevitabilmente l’occhio a John Carpenter, Walter Hill, Wes Craven, l’estetica della violenza è però radicalmente cambiata rispetto agli anni ‘70 e ‘80, addomesticata, approssimativa, sicuramente più vicina ai codici della serialità televisiva.

Poca tensione, nullo erotismo, pochi corpi, poca profondità di spazio. Nessuna epica, tantomeno eroi. Ma ragioniamoci. Perché la violenza, qui, non è furia catartica o anarchia anti-sistema, bensì espressione di una disperazione senza vie d’uscita.
Chi accetta di partecipare all’esperimento lo fa solo per soldi, non per uccidere. Allora, forse, non è un caso se la violenza mostra il suo lato più efferato e si fa segno quando è identificata con il potere (del suprematismo bianco), il cui obiettivo è annientare la classe operaia. Mentre alle alte sfere si lavora per mettere gli uni contro gli altri, ai poveri cristi non resta altro che resistere. E come recita la migliore battuta del film: «Ora si combatte»

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