Lavoro

Violenza della crisi: da febbraio 600 mila disoccupati, 700 mila inattivi in più

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Il caso Secondo l’Istat colpiti i più vulnerabili: giovani, donne e precari Censis-Confcoop: allarme povertà per 2,1 milioni di famiglie. Anche durante il blocco dei licenziamenti perdono il lavoro i dipendenti «fissi»

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 31 luglio 2020

Esplode la disoccupazione, dilaga la precarietà di massa, aumenta la povertà. Lo tsunami della crisi sociale, innescato dalla pandemia del Covid, è già arrivato. Mentre l’onda continua ad ingrossarsi, il governo resta a guardare senza approntare una rete di tutele e garanzie sociali universali e incondizionate a partire da un reddito di base. E si resta in attesa di un’annunciata riforma degli ammortizzatori sociali.

I DATI DELL’ISTAT sull’occupazione a giugno resi noti ieri, incrociati con una lettura di un rapporto sull’aumento della povertà dopo il lockdown realizzata dal Censis-Confcoop a partire dai dati dell’Istat sono utili per tracciare il profilo di un’emergenza sociale di dimensioni storiche, quella incubata negli ultimi tre mesi che esploderà al termine del blocco dei licenziamenti e dell’estensione della cassa integrazione previsti fino a dicembre dal decreto Agosto. Ieri la Banca centrale europea ha sostenuto che senza l’estensione della cassa integrazione a zero ore durante l’emergenza la disoccupazione sarebbe arrivata al 25% in Italia. Ma non è escluso che la situazione possa peggiorare al termine del «congelamento» del mercato del lavoro. A questo fine sarà usato anche il fondo europeo del «Sure».

ALL’INIZIO del 2021 l’eventuale impatto dei licenziamenti di massa rischia di abbattersi su una situazione già oggi preoccupante. Nei tre mesi tra aprile e giugno oltre 600 mila lavoratori, 459 mila dipendenti di ogni tipo e 140 mila autonomi, hanno perso il lavoro, 46 mila solo a giugno, 752 mila dallo stesso mese dell’anno scorso. Questo significa che la crisi ha amplificato quella precedente strisciante. Il dato, se è possibile, più sconvolgente è quello degli «inattivi».Da febbraio si sono trovate in questa condizione 793 mila persone. Queste persone non si «attivano» sul mercato del lavoro perché il lavoro è stato spazzato via dalla crisi più grave degli ultimi tempi. Tale fattore andrà ricordato a chi continuerà a vessare precari e disoccupati sventolando gli investimenti, quelli del «Recovery fund» che inizieranno ad arrivare tra un anno, pensando che produrranno subito posti di lavoro (precari). Nel frattempo ci sarà stato però un massacro sociale e si capirà che il cosiddetto «reddito di cittadinanza» è inadeguato per contenere l’onda, oltre che essere ingiusto e escludente.

NELLA CONGIUNTURA è stata comunque registrata una crescita tra le persone in cerca di occupazione. Riguarda tutte le classi di età. L’aumento interessa soprattutto gli uomini (+9,4%, +99mila unità). Inferiore è stata la crescita delle donne +5,0%, +50mila. È comprensibile che questo accada tra i più precari. Dopo le settimane di chiusura, di perdita del reddito legata ai mancati rinnovi dei contratti a termine e alla drastica riduzione di altre attività intermittenti, ricominciano a cercare un’occupazione. Ma non è detto che la troveranno in un momento di crisi e per un periodo sufficientemente lungo. In ogni caso questa crescita dell’«attività» ha fatto registrare un aumento del tasso di disoccupazione in Italia risale all’8,8%, +0,6 punti rispetto a maggio. È un effetto statistico dovuto al fatto che una frazione di «inattivi» si è messa a cercare un lavoro.

AD OGGI I PIÙ COLPITI dalla recessione sono, ovviamente, i più vulnerabili: giovani under 24, le donne, le partite Iva povere, i lavoratori temporanei e precari. E la crisi inizia a farsi sentire anche sui lavoratori «fissi» (-60 mila). Dunque, non basta il blocco dei licenziamenti. In un mercato tradizionalmente sbilanciato sui lavoratori maschi over 50 precari si sono registrati piccoli sussulti: +102 mila.

QUELLO CHE CI INTERESSA capire è come si vive nella crisi sociale pandemica. Alcuni elementi utili sono stati forniti ieri dal rapporto Censis-Confcoop sui »nuovi poveri»: 2,1 milioni di famiglie con almeno un componente che lavora in maniera non regolare. Parliamo di almeno 4 milioni di persone. Ben 1.059.000 di famiglie vivono esclusivamente di lavoro irregolare. Sono il 4,1% sul totale delle famiglie italiane. Di queste, più di 1 su 3, vale a dire 350 mila, è composta da cittadini stranieri. Questi ultimi, va ricordato, sono stati esclusi dal «reddito di cittadinanza» da una norma razzista imposta dalla Lega, accettata dai Cinque Stelle. E che questo governo non intende cambiare. La situazione peggiore è al Sud dove l’occupazione irregolare, e le nuove povertà, sono maggiormente concentrate. Nel 2019 le persone in povertà assoluta erano 4,6 milioni. Viste le premesse, e le prospettive, questo dato è destinato ad aumentare drasticamente.

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