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Violentate dai trafficanti

Violentate dai trafficantiDonne sbarcate a Lampedusa – Reuters

Lampedusa Il terribile racconto delle supersiti della strage del 3 ottobre: un arresto tra i migranti

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 9 novembre 2013

È raro che a loro, ai migranti, ai deboli, alle vittime, sia consentito il «potere del discorso», anche quando si limita alla dichiarazione della propria identità e nazionalità. Quante volte abbiamo letto sui giornali, a proposito di extracomunitari sbarcati a Lampedusa o sopravvissuti a un naufragio, che si tratta di «sedicenti» eritrei, somali o tunisini, come se la loro verità fosse sempre e comunque antagonista del nostro raffinato scetticismo. Ieri sui verbali di polizia il «potere del discorso» si è manifestato nel racconto dell’orrore da parte di una diciottenne eritrea: «Anch’io sono stata violentata» ha detto, come se fosse una consuetudine nota a tutti, e ha indicato un somalo di 24 anni, Elmi Mouhamud Muhidin, che con altri due uomini «dopo avermi buttata a terra mi hanno gettato in testa della benzina, provocandomi un forte bruciore al viso e agli occhi e a turno hanno abusato di me». La ragazza è una delle 155 sopravvissute al naufragio del 3 ottobre scorso davanti a Lampedusa, dove 366 migranti sono morti (ma questo è solo il numero dei corpi recuperati).

Il somalo è finito in manette, accusato dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, di tratta di esseri umani e violenza sessuale. Farebbe parte dell’organizzazione che gestisce i traffici di migranti.
Le violenze sono avvenute a Sheba, in Libia, uno dei luoghi dove i disperati si radunano per affidare le loro vite a chi li porterà sulla più vicina sponda dell’Europa. «Dopo essere stata picchiata – ha raccontato l’eritrea agli inquirenti – sono stata riportata nella stanza dove c’erano gli altri miei compagni e a loro ho raccontato quello che mi era accaduto», che poi è la stessa cosa capitata «a tutte e 20 le ragazze che sono state sequestrate» nel centro di Sheba. Gli stupratori «non hanno fatto uso di protezione, non curanti neanche della mia giovane età, in quanto ancora vergine. Dopo averci rinchiusi in una grande stanza ci prelevavano uno per uno privandoci dei nostri effetti personali e utilizzavano il nostro telefono cellulare per chiamare i familiari e richiedere un riscatto per la nostra liberazione. Preciso che eravamo costretti a stare in piedi per tutta la giornata e che ci obbligavano a vedere i nostri compagni mentre venivano torturati con vari mezzi, tra cui manganelli, scariche elettriche alle piante dei piedi”. Chi si ribellava “veniva legato con una corda annodata agli arti inferiori e al collo, in modo che anche un minimo movimento creava un principio di soffocamento».

Partendo da questo racconto e da altre otto testimonianze, due giorni fa gli uomini delle squadre mobili di Palermo e Agrigento e dello Sco di Roma si sono recati a Lampedusa e hanno arrestato il somalo e un palestinese, che farebbe anch’egli parte di un’organizzazione di trafficanti di esseri umani. Entrambi sono stati riconosciuti dalle vittime di due naufragi, quello del 3 ottobre e quello dell’11 ottobre davanti alle coste maltesi. I superstiti se li sono ritrovati nel centro d’accoglienza dell’isola, dove il somalo era giunto il 25 ottobre e il palestinese il 3 novembre, e hanno cercato di linciarli mentre erano costretti, per giorni, a dividere con loro cibo e spazio. Il capo della Mobile di Agrigento, Corrado Empoli, ha una certezza: «Dai racconti dei sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre – dice nel corso di una conferenza stampa – è emerso che le donne venivano tutte violentate dai componenti dell’organizzazione». E conferma nei dettagli il racconto della diciottenne somala: «Venti extracomunitarie sarebbero state stuprate sia dal cittadino somalo fermato sia da alcuni miliziani libici nel periodo in cui i migranti erano tenuti prigionieri a Sheba. Gli investigatori descrivono un quadro agghiacciante: «Carovane di migranti disperati vengono intercettate da organizzazioni paramilitari nel deserto tra Sudan e Libia. Gli extracomunitari, in viaggio verso le coste libiche, vengono sequestrati, portati in veri e propri centri di tortura, come quello di Sheba, sottoposti a sevizie e tenuti prigionieri sino a quando le loro famiglie mandano ai rapitori il riscatto. Poi vengono portati sulle coste e imbarcati per l’Italia; per il viaggio pagano altro denaro».

Il somalo sarebbe ai vertici della struttura («È una delle poche volte che si arresta uno dei capi», ha detto il dirigente dello Sco Enzo Nicolì); il palestinese, invece, sarebbe uno degli scafisti. Non è ancora chiaro perché i due abbiano fatto il viaggio per Lampedusa e lasciato il loro quartier generale. Forse hanno avuto contrasti con l’organizzazione, forse cercavano solo contatti con altri criminali per affinare e incrementare un affare che vale cinquemila dollari per ogni migrante.

«Di violenze sulle donne – dice un medico volontario che ha a lungo operato a Lampedusa – ne sento parlare da anni, almeno dal 2007. È quasi una clausola del ‘contratto’ tra migranti e scafisti. Accertare le violenze, da un punto di vista medico, è quasi impossibile senza una testimonianza diretta e non lo si può certo fare sul molo Favaloro. Gli abusi non avvengono solo a terra, ma anche sui grandi barconi, e includono la vendetta etnica come quella tra somali ed eritrei».

Davanti a questa tragedia epocale, alle sofferenze indicibili di migliaia di esseri umani, ai quattrocento morti dei due naufragi dello scorso ottobre, l’Italia non riesce a trovare un posto per i 440 migranti ancora bloccati nel centro d’accoglienza di Lampedusa, dove ci sono appena 250 posti letto, se così possono chiamarsi 250 strisce di gommapiuma e qualche coperta, con l’inverno alle porte. Ieri il sindaco dell’isola, Giusi Nicolini, ha chiesto al governo di fare presto: «Queste persone da oltre un mese vivono all’aperto, sotto la pioggia e al freddo», ha scritto al ministro dell’Interno Angelino Alfano. «Due giorni fa alcuni ospiti del centro sono venuti a protestare al municipio. Fosse dipeso dall’amministrazione di Lampedusa, quelle persone sarebbero già alloggiate nelle case e negli alberghi del paese. Perché questi ritardi?». E Alfano come risponde? Esprimendo «grande soddisfazione» per gli arresti.

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