Visioni

Vincent Peirani, “il linguaggio sempre nuovo della fisarmonica”

Vincent PeiraniVincent Peirani – Ap

Incontri Parla il musicista francese fra i jazzisti europei emergenti con un linguaggio che guarda a jazz, rock, musica classica, sperimentazione e folclore immaginario

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 8 settembre 2024

Vincent Peirani, fisarmonicista e compositore, è uno dei jazzisti francesi ed europei emergenti con un linguaggio che guarda a jazz, rock, musica classica, sperimentazione e folclore immaginario. Formatosi nel quartetto di Daniel Humair, ha dato vita a svariati organici tra cui l’apprezzato duo con il sassofonista Émile Parisien (vari album ed oltre mille concerti). Peirani ha suonato in Italia a luglio (in solo e duo con Parisien ad Umbria Jazz; a Brunnenburg, Tirolo, con il violoncellista François Salque; in trio ad Atina Jazz) ed insieme al chitarrista Federico Casagrande e al batterista Ziv Ravitz è di nuovo in tour nel Belpaese a settembre, il 19 sarà a Cutrofiano, Lecce, per I concerti del chiostro.

Partiamo dai suoi ultimi album-progetto…

L’ultimo disco in duo con Émile Parisien è “Abrazo” (Act); il più recente è Les égarés (No Format): un quartetto con Parisien al soprano, Vincent Segal al violoncello e Ballaké Sissoko alla kora.

“Abrazo” è ispirato in senso ampio ad una forma d’arte e cultura quale il tango ma vi si sentono un pezzo di Kate Bush e “The Crave” di Jelly Roll Morton…

È l’idea della danza nell’America del Sud, non solo tango ma anche danze peruviane e di altri paesi che ci permettono di indagare il folclore come tradizione ma anche di creare un folclore immaginario. Concepiamo il disco come una sorta di suite, al pari del precedente che si chiamava Belle Epoque, un omaggio alla musica del XX secolo compresi Sidney Bechet e Duke Ellington. Il pezzo di Morton prosegue quell’evocazione e lo abbiamo adattato ritmicamente.

Con Parisien avete cominciato a frequentarvi nel quartetto di Daniel Humair?

È accaduto nel 2009. Con Emile c’è stata un’intesa immediata, avevamo varie cose in comune. Nel quartetto di Daniel abbiamo imparato tutti e due a comunicare e il pubblico ci diceva: “Voi avete una supercomplicità, dovreste suonare in duo”. Abbiamo cominciato una decina d’anni fa, realizzando molte cose. Il nostro è un incontro tra personalità umane, prima di strumenti e suoni. Nasce da un’alchimia fra persone.

Lei è venuto in Italia con progetti musicali differenti: uno su J.S.Bach con il violoncellista François Salque; l’altro riguarda l’album “Jokers” inciso con Federico Casagrande e Ziv Kavitz. Ce ne parla?

Jokers è un trio, abbiamo iniziato nel 2018. C’è Federico che suona la chitarra e Ziv alla batteria. È già il nostro secondo repertorio. C’è un po’ di jazz, c’è del rock (che io sento: sono un batterista rock frustrato). Abbiamo registrato “Jokers” con il nuovo repertorio ma ora sta cambiando tutto: dal vivo ci sono due pezzi dell’album, brani originali e di altri artisti e cantanti, anche hard-rock. È la prima volta che suono in trio e c’è un ampio spazio per l’improvvisazione. Amo dare durata ai miei progetti e Jokers l’avrà. Insieme a Salque c’è un progetto sulla musica classica. È una ricognizione attorno a J.S.Bach, c’è molta improvvisazione all’interno di una “cornice” classica. Sono due progetti complementari.

Ha collaborato con vari musicisti italiani (Stefano Bollani, Francesco Bearzatti, Giovanni Falzone…). Qual è il suo legame con loro e quale può essere la dimensione di un jazz europeo?

Ho ascoltato da mio padre il suono italiano, mio nonno è corso e mia nonna rumena. Sono francese ma “Peirani” è un cognome che viene dall’Italia e mi sento più vicino ad un italiano che ad un europeo del Nord. La cosa caratteristica, penso per esempio a Paolo Fresu e ad Aldo Romano, è la loro relazione con la melodia. Facendo del jazz io penso soprattutto alla melodia, non so se sia per il mio “lato” italiano ma è così.

Lei ha suonato a lungo con Daniel Humair (batterista, compositore, intellettuale, pittore, cuoco…). Che cosa le ha donato insieme ad altri importanti jazzisti francesi con cui ha lavorato (Michel Portal, Louis Sclavis, François Jeanneau)?

Daniel è colui che mi ha dato fiducia. È un uomo molto generoso nella sua maniera di trasmettere la musica. Mi ha veramente fatto vincere la timidezza; a me sembrava di suonare abbastanza ma lui mi stimolava a suonare di più. Mi diceva: “Suona, suona…”. Mi ha fatto crescere musicalmente, ho pian piano aumentato i miei spazi aumentando la fiducia. Mi ha insegnato a fare musica con piacere e divertendoci, pur avendo ottant’anni. Non posso che ringraziarlo anche per l’incontro con Émile. Quando mi sono esibito in duo con Portal ho suonato con un eroe della mia giovinezza, un sogno realizzato. È importante come loro (Daniel e Michel, che non sono dei ‘professori’) ci hanno raccontato e costruito la storia del jazz. Musicalmente ed umanamente è stato incredibile lavorare con loro. (si ringrazia Fiorenza Gherardi).

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