Internazionale

Vigilia della tregua, 20 morti nel Donbass

Vigilia della tregua,  20 morti nel DonbassTank ucraini a Debaltseve – Reuters

Ucraina A Kiev non accettano la «resa». È battaglia decisiva nell’area di Debaltseve. Poroshenko ora deve convincere le milizie di destra al fronte nelle fila dell’esercito

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 14 febbraio 2015

Tanto per chiarire come si arriverà al cessate il fuoco di domani, in Ucraina orientale i combattimenti sono continuati anche dopo l’incontro di Minsk. Anzi, ogni ora che avvicina all’ipotetica tregua, è segnato da nuove battaglie. I ribelli non vogliono perdere le posizioni guadagnate negli ultimi mesi, l’esercito di Kiev prova a riconquistare qualche chilometro prima di domani. Secondo i separatisti almeno 20 persone sono morte nelle ultime 24 ore, un dato confermato anche dall’esercito ucraino.

A pagare, come accade dall’inizio di questo conflitto, sono i civili. A Donetsk, secondo il portavoce del ministero della Difesa dei separatisti locali Eduard Basurin, l’esercito ucraino oltre a «due veicoli da combattimento della fanteria», ha perso «42 persone», mentre altre 30 sono state ferite. In precedenza, Basurin aveva anche segnalato la morte di sette persone, tra cui tre bambini a causa dei bombardamenti su un palazzo di Gorlovka. I mezzi pesanti, che in base agli accordi di Minsk dovrebbero arretrare, al fine di creare la ormai nota «zona cuscinetto» (più estesa di quella decisa nella capitale bielorussa lo scorso settembre) operano ancora e sarà complicato fermarli.

Ci sono alcune questioni che l’incontro di Minsk ha rimandato a data da destinarsi e che costituiscono il frutto delle strategie operate dai principali attori della trattativa. Partiamo da una questione logistica non da poco: non è chiaro come sarà risolta la questione di Debaltseve, uno snodo ferroviario di grande importanza strategica attorno al quale i ribelli avrebbero circondato migliaia di soldati ucraini. La cittadina è fondamentale per l’attuazione o meno degli accordi di Minsk. Putin a questo riguardo ha dato incarico a esperti militari russi di analizzare la situazione. La soluzione più ovvia sarebbe la resa delle forze ucraine, ma Kiev non pare averne intenzione e non vuole cedere il territorio, con il risultato di mettere in grave difficoltà – e a repentaglio – le vite dei suoi soldati, nelle mani dei ribelli.

Ci sono naturalmente altre ombre, più politiche, alcune delle quali costituiscono il cuore stesso di tutta la crisi ucraina. È chiaro infatti che se Merkel e Hollande avevano come principale obiettivo il risultato minimo, ottenere un «cessate il fuoco», per scongiurare il rischio di intervento diretto da parte degli Usa, il grosso della partita è stato disputato da Poroshenko e Putin. Il presidente russo è uscito vincente dall’incontro, come ammesso anche dal New York Times, mentre la posizione del suo omologo ucraino è ben diversa.

Poroshenko – che secondo la stampa americana ha dovuto ingoiare una «pillola amara» – dovrà spiegare alcune cose ad un parlamento irrequieto: dovrà raccontare, o eludere la domanda su perché si sia «dimenticato» della Crimea al tavolo della negoziazione, perché sarà necessaria un’autonomia speciale per la regione del Donbass e come sia possibile che, alla fin fine, tutto sia ancora nelle mani decisive proprio di Putin.

Dalla sua Poroshenko avrà il prestito del Fondo monetario svenatosi per salvare la baracca di Majdan, ma potrebbe non essere sufficiente. L’ipotesi, infatti, che i filorussi accettino di tornare sotto Kiev, con la presenza di militari ucraini al confine con la Russia, in un paese magari in procinto di entrare nella Nato, è esattamente la causa per la quale questa guerra è nata. La presenza di truppe Nato al confine con la Russia, è inaccettabile tanto da parte dei ribelli, quanto, naturalmente, da parte di Mosca. La questione dei confini tra Ucraina e Russia, quindi, è un nodo che – è stato specificato a Minsk – verrà risolto solo a fine anno, quando cioè tutte le operazioni di «pulizia» della zona contesa (dai mercenari, truppe straniere, artiglieria pesante) saranno completate.

A quel punto gli accordi di Misk, in teoria e sulla carta, stabiliscono che l’Ucraina dovrà riprendere il controllo militare e politico dei suoi confini con la Russia. Ma a confinare con la Russia non sarà un paese in odore di entrare nella Nato, bensì una regione autonoma, il Donbass, con uno status di «paese non allineato». È questa la «pillola amara» recapitata a Poroshenko, a Minsk. Questa mossa d Putin – a sua volta – comporta alcune conseguenze: in primo luogo la possibilità che le regioni del Donbass possano tornare a fare parte del territorio ucraino, ma con uno statuto speciale, il che creerebbe quanto vuole la Russia, vale a dire una zona cuscinetto tra i confini russi e l’esercito ucraino (che in futuro potrebbe essere affiliato alla Nato).

In secondo luogo questa scelta – secondo alcuni osservatori – è quanto voleva proprio il presidente russo Putin. Un’autonomia speciale per la regione, che tenga a distanza la Nato e non faccia ricadere sulla Federazione russa il peso economico del suo sostentamento. Con la Crimea, già portata a casa, senza sparare un colpo.

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