Ritorna in libreria l’esordio romanzesco di Carola Susani, Il libro di Teresa (Marietti 1820, pp.125, euro 16,90), vincitore del Premio Bagutta nel 1995: è un tardo romanzo famigliare novecentesco là dove tutti gli elementi classici del romanzo d’ambientazione borghese ritrovano una forma inedita capace di raccontare, in un’ambientazione di pieno Ventennio, non solo gli anni Trenta, ma quell’affacciarsi inquieto e disadorno che caratterizzerà l’avvento del XXI secolo per la società italiana e che oggi si palesa in tutta la sua ferocia. Il segno di una fragilità, marcata da una ricerca del sacro e di una spiritualità nuova, quasi a prevedere più che a prevenire una violenza che viene dissimulata nel romanzo di Carola Susani dal tentativo di una famiglia di farsi corpo unico e coeso.

ROMANZO POLITICO perché per nulla politico nelle sue categorie, Il libro di Teresa è il racconto di una famiglia della piccola borghesia italiana composta da cinque figli, madre e padre che si barcamena dagli anni Trenta fino al dopoguerra. Più che un post neorealismo, il tentativo riuscito di ritrovare quegli stilemi che da sempre si riproducono nella società italiana, quella tensione tra privato e pubblico che viene spesso addomesticata da una religiosità e si fa regola sociale obbligata. Qui Susani boicotta, in un certo senso, la narrazione offrendo al lettore un piano del sacro fortemente inedito allora e che oggi assume la dimensione di un ritrovamento archeologico, il suggerimento di un tempo passato che si fa forza del contemporaneo. Un sacro dunque che si scioglie nelle tensioni senza alterarle o addomesticarle, che si libera dei gradienti di una religione abituata ad apparecchiare dottrine e dogmi. Un sacro che diviene così corpo libero dentro al quale la narrazione vive e seduce il lettore, avvicinandolo a un tempo solo apparentemente lontano.
Gli anni Trenta di questa famiglia divengono così gli anni Trenta futuri che ci toccheranno in sorte, un passaggio di testimone che pare obbligato e che richiederà una tonalità diversa nel definire quello che è per davvero e per noi oggi la memoria. La storia non si ripete e se lo fa, è per l’ottusa cecità di chi non la sa riconoscere e reinterpretare dando così alla tragedia una forma di farsa non meno dolorosa.
COME SCRIVE Chiara Valerio nella sua postfazione al romanzo, «l’ossessione o forse senza ossessione, la pratica di quest’io collettivo, io di famiglia, è religiosa perché l’unico tesoro che hanno questi cristi e criste sono i meriti. E questi meriti, come sempre succede, al volgere della storia, o solo di una stagione politica, cambiano valore, di solito perdendolo».
Il libro di Teresa nelle vicissitudini minute e disperanti, allegre e ingenue di questa famiglia ritrae non tanto il nostro passato, ma quell’eterno presente che ci vede minuscole marionette manovrate da incertezza e casualità e distratte parimenti da sciocchezze e tragedie.
Rileggere oggi a quasi trent’anni di distanza dalla sua prima pubblicazione Il libro di Teresa significa ritrovare un filo che forse si è distrattamente perso o meglio che non si è mai voluto cogliere. Il tessuto prezioso di una generazione di scrittrici e scrittori che parevano aver mancato l’appuntamento e che invece oggi bussano – come Carola Susani – alle nostre porte regalandoci l’opportunità di una seconda volta.