Cultura

Viaggio nel tempo delle identità perdute

Viaggio nel tempo delle identità perduteFrammenti di ceramiche

Mostre Fino al 30 settembre 2023 è aperta a Venezia, al CFZ Ca’ Foscari Zattere, la rassegna «Shards of the Past. Meanings of the Present». Protagonisti dell'esposizione, frammenti somatici e materiali che raccontano le vite di persone ordinarie, non di potere

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 28 settembre 2023

Gli oggetti del passato raccontano, più che se stessi, usi e rapporti. Fino al 30 settembre 2023 è aperta a Venezia, al CFZ Ca’ Foscari Zattere, la mostra Shards of the Past. Meanings of the Present, tentativo coraggioso di scrutare oltre i divari temporali le cose e riconoscere, nelle relazioni che vi sono impresse, ciò che ci rende profondamente umani.
Il curatore, Mauro Puddu, archeologo ricercatore Marie-Curie a Ca’ Foscari e responsabile del progetto di ricerca Identis, accosta suppellettili moderne a reperti di 2000 anni fa, che di solito sentiamo empaticamente distanti. I pezzi moderni, alcuni dei quali restituiti con fotografie e riproduzioni 3D, sono un prestito del Museum of Broken Relationships di Zagabria, partner del progetto.

È il Museo delle ‘Relazioni Interrotte’, fondato dalla produttrice cinematografica Olinka Vištica e dallo scultore Dražen Grubišić e che raccoglie oggetti di persone comuni desiderose di ricordare rapporti finiti, ritrovati, immaginati. I reperti archeologici appartengono ai siti della Sardegna centro-occidentale di epoca romana, ma simbolizzano anch’essi storie vissute. Così, al centro della mostra, le particolari disposizioni delle ossa nella foto della tomba del IV secolo d.C. della necropoli di Sa Mitza Salida, a Oristano, documentano potenzialmente il ruolo dei legami affettivi nelle comunità rurali dell’impero romano. A tutto questo si aggiungono strumenti di scavo archeologico antichi e nuovi: stivali antinfortunistici fangosi, una pala, una carriola e l’iconica trowel in due esemplari, messi a confronto per testimoniare, con i segni dell’usura, l’intensità e la durata del lavoro svolto.

Protagonisti dell’esposizione sono comunque frammenti somatici e materiali – un vaso, la protesi di un ginocchio, una chiave apribottiglia, un pezzo di legno bruciato, depositi di placca dentale, porcellana da caffè annerita, tibie deformate, femori ricurvi… – appartenuti a uomini e donne anonimi, ai margini delle narrative storiche prevalentemente androcentriche ed elitarie, e che parlano di fatica, di rapporti di potere, sociali e sentimentali. Una volta tanto essi contano non per il prestigio e il valore economico, ma per il contatto che permettono di stabilire con l’umanità di queste persone. Due supporti fungono da base per tale ricerca: il corpo e il paesaggio intorno al suo ritrovamento.

Attraverso il dialogo fra presente e passato si smantella anche l’idea dell’identità come qualcosa di fisso e statico. Nei testi autobiografici che accompagnano i pezzi del museo di Zagabria emerge in alcuni casi un sentimento duraturo e intatto, reciso da cause naturali, indipendenti dalla volontà. La scrittura qui, insieme agli oggetti, conferma e suggella la freschezza del feeling. In altri casi, più numerosi, il mix di resto archeologico e di descrizione vale invece come il recupero di un rapporto concluso, riferibile al solo passato, che la cornice espositiva riattualizza, ma che il soggetto proprietario e donatore ora guarda con stati d’animo diversi – tenerezza, astio, sollievo, rancore, distacco… – e con diversa consapevolezza. Si cambia per non morire e per ricominciare. Le iniziali di due nomi su un blocco di cemento, una ciocca di capelli sotto vetro sono e forse saranno come erano, ma anche come non si è più.

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