In un giorno imprecisato dell’autunno 1901 Anton Cechov confidò a Ivan Bunin riferendosi a Lev Tolstoj: «…quello che più mi colpisce in lui è il disprezzo che nutre per noi scrittori. Ci considera dei bambini. Per lui i nostri racconti, le novelle, i romanzi sono solo giochi puerili». Con la sua innata sensibilità, Cechov coglieva un aspetto della cosiddetta «conversione» tolstoiana, forse meno visibile di altri, ma non per questo meno essenziale, e cioè quella critica spietata che, a partire dai primi anni ottanta, il conte di Jasnaja Poljana aveva indirizzato non solo verso il proprio ceto, ma anche e...