Viaggio intorno al mondo alla scoperta di una parola
Indagini «Ghetto», dello storico statunitense Daniel B. Schwartz, edito da Hoepli
Indagini «Ghetto», dello storico statunitense Daniel B. Schwartz, edito da Hoepli
In questo saggio, tanto avvincente quanto rigoroso, lo storico Daniel B. Schwartz analizza il modo in cui un sostantivo – nel corso di sei secoli – ha cambiato più volte di significato accumulando una molteplicità di strati semantici. Attraverso l’indagine relativa alla storia di un nome, lo studioso conduce pertanto il lettore in un viaggio per il mondo riuscendo nel contempo a tenere insieme varie epoche e culture.
Ma di quale vocabolo stiamo parlando? Si tratta di ghetto, un termine dalle vicende assai complesse – che iniziano al principio del Cinquecento e si estendono fino al giorno d’oggi -, a proposito delle quali la ricerca di Schwartz si rivela davvero illuminante. Occorre anzitutto osservare come nel suo saggio, che si intitola appunto Ghetto. Storia di una parola (Hoepli, pp. 268, euro 25,00), egli prenda le mosse dall’origine del sostantivo che è, a suo parere, strettamente intrecciata con le vicende di due città: Venezia, nella quale stava a designare il quartiere ebraico di residenza coatta istituito nel sestiere di Cannaregio nel 1516, mentre dalla zona in cui si trovavano molti geti, fonderie di rame grezzo – prese probabilmente il nome; e Roma, dove nel 1870 il ghetto sarebbe stato smantellato a seguito della caduta dello Stato Pontificio.
OSSERVA, nella Prefazione al volume, Adriano Prosperi: «Fu così che i governanti veneziani escogitarono la formula dell’impedire i contatti degli ebrei senza espellerli, continuando a spremere da loro contributi in denaro sempre più esosi». Dopodiché lo storico ricostruisce i diversi significati che la parola ha assunto dalla sua nascita all’epoca contemporanea dimostrandosi in tal modo sostantivo sfuggente e duttile. Scrive al riguardo l’autore: «È un termine che, a seconda di come lo si usa e di chi lo pronuncia, può evocare pericolo o protezione, debolezza o tenacia, patologia sociale o solidarietà comunitaria, una prigione o una fortezza: un concetto sociologico descrittivo ma non scevro di giudizi di valore».
Eccolo dunque, durante l’Ottocento, configurarsi alla stregua di una generica metafora dell’ebraismo anteriore all’emancipazione per passare a indicare, in seguito, realtà assai diverse quali le enclave metropolitane affollate da migranti di estrazione israelitica e i luoghi di concentrazione ed eliminazione allestiti nell’Europa orientale dagli occupanti nazisti.
È inoltre interessante sottolineare come tale parola abbia poi attraversato l’Atlantico radicandosi sia nel Lower East Side di New York che nel Near West Side di Chicago e sia stata successivamente utilizzata per designare il contesto in cui si trovava a vivere non tanto la comunità ebraica quanto quella afroamericana: vale a dire, il quartiere degradato dei senza lavoro. Sarebbe stata, questa, l’ultima profonda metamorfosi subita dal termine ghetto. Negli ultimi decenni, in altre parole, il termine ghetto ha travalicato l’esperienza ebraica per diventare globale. Oggi viene percepito in tutto il mondo soprattutto in quanto simbolo dell’identità nera.
ESISTE, DA ULTIMO, un paese nel quale il dibattito relativo alla metafora del ghetto va facendosi sempre più aspro. Si tratta dello stato di Israele. Sia la sinistra che la destra partono da una premessa comune: fin dalla sua nascita, esso avrebbe dovuto costituire un’antitesi del ghetto. Invece, secondo i progressisti, l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania e il perseguimento di una politica sorda alle richieste dell’opinione pubblica internazionale favorirebbe la rinascita del biblico «popolo che dimora da solo». Stando poi alla posizione espressa dalla destra, il timore che Israele si trasformi man mano in un ghetto appare connesso alle sue dimensioni territoriali, tanto minori quanto più si restituissero le regioni contese: una situazione che esporrebbe il paese a continui pericoli, ridotto come sarebbe alla mercé dei vicini musulmani.
In conclusione, il termine ghetto ha compiuto un lungo itinerario passando per diverse rinascite: una vera e propria odissea semantica che è andata avanti fino ai giorni nostri e che, forse, ci riserverà altre sorprese.
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