Europa

Viaggio alle Canarie tra petrolio e trivelle

Siamo a terra La Repsol, l’impresa petrolifera spagnola ha progettato la campagna a sostegno alle trivellazioni petrolifere nelle acque dell’arcipelago delle Canarie, autorizzate definitivamente dal governo di Madrid

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 25 luglio 2014

La maggior parte della pubblicità non fa tanto appello alla ragione quanto alle emozioni. Lo affermava il sociologo tedesco Erich Fromm. Forse gli esperti di comunicazione pubblicitaria della Repsol, l’impresa petrolifera spagnola, devono aver pensato a questa frase quando hanno progettato la campagna a sostegno alle trivellazioni petrolifere nelle acque dell’arcipelago delle Canarie, autorizzate definitivamente dal governo spagnolo una settimana fa.

Fanno capolino dal poster pubblicitario dune di sabbia bianca finissima, mare cristallino di un turchese intenso e qualche palma e il messaggio «cosa hanno in comune il Brasile, i Caraibi e l’Italia? Tutte sono grandi mete turistiche con spiagge meravigliose e progetti di trivellazione nelle proprie coste. Le Canarie hanno una possibilità che nessun paese ha disprezzato».
Significativo che negli stessi giorni in cui sui giornali locali compariva questa pubblicità ingannevole, El Hierro, la più piccola delle sette isole Canarie, avamposto estremo dell’Europa in mezzo all’Atlantico, abbia conquistato l’indipendenza energetica dai combustibili fossili, grazie al combinato disposto fra venti alisei, che sulle isole Canarie mediamente soffiano per 3500 ore all’anno e l’altezza dei suoi vulcani.

È bastata una piccola pressione su un bottone verde e il sogno, iniziato 30 anni fa, si è trasformato in realtà: la centrale idroeolica di Gorona del Viento ha cominciato a produrre elettricità e ha permesso a questo scoglio di soli 270 Kmq di essere completamente libero dal petrolio. Addio dunque a petroliere e inquinamento, e anche ai due milioni di euro spesi ogni anno per alimentare la vecchia centrale a gasolio di Llanos Blanco. L’isola completerà la sua riconversione alle fonti rinnovabili entro il 2020, quando anche le 6000 auto circolanti saranno state sostituite da macchine elettriche.
Grazie all’ingegnoso binomio di acqua e vento, El Hierro è già in grado di soddisfare con fonti rinnovabili il 100% dei consumi elettrici degli oltre 10000 residenti e dei circa 80000 turisti, che ogni anno la visitano.

Non solo, oltre all’elettricità, con l’eolico si dissala l’acqua dell’oceano, soddisfacendo tutti i bisogni idrici dell’isola. L’energia primaria proviene da un piccolo parco eolico di 5 turbine che durante il giorno immette elettricità nella rete elettrica e nella notte, quando i bisogni quasi si azzerano, sospinge l’acqua lungo i tre chilometri di canalizzazioni, quasi tutte sotterranee, che collegano il deposito, situato a livello del mare, con quello collocato 700 metri più in alto.
Quando c’è assenza di vento e serve elettricità basta far cadere dall’alto l’acqua in una turbina e i Kwh necessari sono immediatamente prodotti. L’idea poi di utilizzare il cratere di un vulcano per il bacino situato a 700 metri di altezza arricchisce di fantasia il progetto.

Questa straordinaria rivoluzione tecnologica è costata solo 82 milioni di euro, che si pensa di ammortizzare in 20 anni ed è stata finanziata da una società partecipata al 60% dal governo dell’isola, il 30% da Endesa, la più grande società elettrica spagnola, e il rimanente 10% dall’Istituto Tecnologico delle Canarie.

Costerà invece 65.000 euro l’elettrificazione della mobilità, che si intende ammortizzare in soli dieci anni, vendendo nello stesso periodo, l’elettricità necessaria per alimentare le auto, all’attuale prezzo della benzina.
Ancora qualche numero: si risparmieranno oltre 6.000 tonnellate di gasolio (40.000 barili di petrolio); si eviteranno ben 18.700 tonnellate di emissioni climalteranti; infine generare elettricità con il binomio di vento e acqua è un 23% più economico che farlo con il gasolio.

Sì, è proprio vero che le isole Canarie, come recita la pubblicità di Repsol, hanno una grande possibilità, ma non sono le poche sacche di petrolio che il fondo dell’oceano forse nasconde, ma l’immenso giacimento di risorse solari ed eoliche che l’isola di El Hierro dimostra essere possibile utilizzare.
Inutile rischiare devastazioni ed inquinamento o farsi manipolare da Repsol, impresa già tristemente nota per i numerosi disastri seminati nel mondo: dai 100 barili di greggio rovesciati, nel 2008, nel Parco Nazionale ecuadoriano Yasuni Amazon, al pesante inquinamento provocato dagli otto gravi incidenti che negli ultimi dieci anni hanno colpito Tarragona, di fronte alla costa catalana, in pieno Mediterraneo; all’ultima marea nera è di ben 1900 ettari, una macchia oleosa grande quasi come 1600 campi da calcio.

Inoltre la pubblicità di Repsol suona come una beffa, visto che contemporaneamente alla sua pubblicazione è apparsa una contaminazione di petrolio sulla spiaggia El Cabrón a Gran Canaria. Una riserva marina, considerata ideale per le immersioni subacquee per la presenza di circa 400 differenti specie marine.

Ora questo straordinario patrimonio di biodiversità annaspa in due sacche oleose di 300 metri lineari, che alcuni lavoratori municipali e i numerosi volontari, attivati con l’allarme scattato nella rete sociale, stanno cercando di raccogliere per evitare che si depositi sul prezioso fondale. In soli due giorni sono state raccolte ben 18 tonnellate di catrame.
È solo un assaggio di quello che potrebbe succedere per una perdita causata dalle trivellazioni a pochi chilometri dalla costa, come previsto, dal progetto Repsol nelle Canarie.

Progetto altamente rischioso per la profondità a cui si vuole operare, sotto uno spessore d’acqua di oltre 1500 metri con più di 6000 metri di perforazione sotterranea. Progetto che viene portato avanti malgrado il rifiuto massiccio delle popolazioni, sostenute dai governi locali, dalle organizzazioni ambientaliste e dai movimenti cittadini. Un progetto che ha evitato le rigorose protezioni ambientali dettate dalla Riserva della Biosfera; l’alto rischio sismico e vulcanico della zona; quello ancora più alto e drammatico di interrompere in soli due giorni la fornitura di acqua potabile ad oltre 250mila persone, nell’ipotesi che il petrolio raggiunga gli impianti di dissalazione, da cui dipende l’approvvigionamento di quasi il 100% dell’acqua.

Progetto che si illude di far convivere il rischio di disastro ambientale con l’allarme degli operatori turistici europei che ancora indirizzano per le vacanze alle isole Canarie circa 12 milioni di turisti all’anno.

Eppure la Commissione Europea, all’interno di un programma di finanziamento di progetti innovativi basati su energie rinnovabili, ha da poco concesso un finanziamento di 34 milioni per cinque aerogeneratori di 5mw ciascuno, proprio di fronte alla costa di Gran Canaria.

Dissonanza cognitiva dell’Europa che vuole proteggere il clima e rendersi indipendente da un punto di vista energetico, ma che, senza un vero piano energetico comune, con una mano finanzia progetti di energia rinnovabile, utilizzando quei crediti provenienti dalla vendita dei diritti di emissione, e
con l’altra avalla tutti i pericolosi progetti di estrazione di idrocarburi in Spagna come in Italia o Croazia.
A livello politico è nato lo scorso 9 luglio all’interno del Parlamento europeo un gruppo di lavoro il cui obiettivo è fermare i progetti di trivellazioni nell’arcipelago delle Canarie e nel Mediterraneo, sollecitando il passaggio a un diverso modello energetico.

Cinque forze politiche spagnole compongono per ora questo gruppo di lavoro, ma nella prossima riunione, prevista per settembre, l’intenzione è quella di aprire a tutte le altre forze politiche europee che intendano contrastare i folli ed inquinanti progetti petroliferi.

Stupisce quindi che, malgrado al petrolio sia sempre più associato un carico crescente di disuguaglianze sociali e una serie infinita di catastrofi ambientali e climatiche, non prenda piede un’alternativa rinnovabile e un nuovo modello energetico, seguendo l’esempio di El Hierro che ne dimostra la fattibilità , ma anche la sua capacità di creare oltre alla sostenibilità ambientale, lavoro.

È facile obiettare che le dimensioni dell’isola sono troppo modeste per dimostrare la credibilità e la fattibilità di un modello energetico rinnovabile. Va ricordato che da diversi anni numerosi territori insulari hanno conquistato la propria autonomia energetica: dall’Islanda all’isola di Eigg in Scozia, Tokelau in Nuova Zelanda, Samso in Danimarca, Hawai negli Usa, San Eustaquio in Grecia, Tuvalu in Polinesia. Va soprattutto tenuto in conto che vivono su isole ben 17 milioni di europei e oltre 600 milioni nel mondo. Un pezzo di popolazione non piccolo per la quale inevitabilmente l’isola di El Hierro, insieme alle altre che ne hanno già seguito l’esempio, sarà un punto di riferimento.

L’inevitabile cammino verso l’autonomia dai combustibili fossili a favore delle rinnovabili, procede con troppa lentezza rispetto alla crescente e drammatica rapidità con cui cambia il clima. Estendere l’esempio di El Hierro all’insieme dei sistemi insulari può rappresentare una svolta e dare la giusta e necessaria accelerazione.

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