Cultura

Viaggi e scoperte oltre le crociate

Viaggi e scoperte oltre le crociateScene da un mercato di una città italiana durante il Medioevo

MEDIOEVO Il tema di come nuovi ceti si affermarono alla fine di quella stagione nei saggi di Simone Lombardo e Gabriella Airaldi. Un’epoca segnata dall’arrivo in Europa della peste dall’Asia, più che dalla caduta di Acri, del 1291. Si sviluppò anche un genere letterario specifico, «De recuperatione Terrae Sanctae», caratterizzato da una folta messe d’informazioni, non solo belliche, su quelle vicende

Pubblicato più di un anno faEdizione del 3 agosto 2023

Nel 1274 papa Gregorio X, che come legato pontificio aveva risieduto a lungo in Terrasanta, chiese durante il Concilio di Lione che gli venissero indirizzati circostanziati memoriali sulla possibilità concreta di organizzare una nuova, efficace crociata. Prima di quella data erano fallite tutte le spedizioni tese alla riconquista di Gerusalemme, persa nel 1187, e del regno che l’aveva circondata; nonché quelle crociate che avevano puntato alle coste nordafricane nella speranza di fiaccare il nemico e spingerlo alla trattativa. Ma tutto ciò non impedì che i sultani mamelucchi del Cairo liquidassero in pochi anni le residue piazzeforti costiere di Terrasanta ancora in mano ai «franchi», come venivano chiamati da quelle parti: l’ultima, Acri, cadde nel 1291.

POTREBBE SEMBRARE che la crociata fosse ormai un capitolo chiuso, ma non è così, perché il secolo successivo vide la continuazione di un interesse in tal senso. Nacque infatti una ricca e per molti versi interessante letteratura De recuperatione Terrae Sanctae, caratterizzata da una folta messe d’informazioni strategiche, tattiche, geografiche, logistiche, economiche, finanziarie, geografiche; alcuni autori di questi talora ponderosi trattati erano illustri personaggi, come il Maestro templare Jacques de Molay, il celebre avvocato di Filippo IV di Francia Pietro Dubois, l’ammiraglio genovese Benedetto Zaccaria, il veneziano Marin Sanudo Torsello, il filosofo e mistico catalano Raimondo Lullo.

Vi si proponevano molte soluzioni ai problemi dell’impasse della crociata: l’assedio ai porti nilotici, autentico motore dell’economia egiziana, in modo da obbligare i sultani mamelucchi, padroni di Gerusalemme, a cedere la Città Santa in cambio dello sblocco; l’embargo commerciale sistematico all’Egitto; l’alleanza con i mongoli in funzione antimusulmana (ma nel frattempo i mongoli dell’il-khanato andavano invece convertendosi all’Islam); l’unificazione degli Ordini militari; varie forme di riorganizzazione del sistema di finanziamento delle spedizioni future. Ad alcune fra queste esperienze è dedicato il monumentale volume di Simone Lombardo, La Croce dei Mercanti. Genova, Venezia e la Crociata Mediterranea nel tardo Trecento (1348–1402) (Brill Schöningh, pp. 638, euro 156). La cronologia seguita dall’autore, tuttavia, è segnata da un evento ben più importante della caduta di Acri, ossia dall’arrivo in Europa e nel Mediterraneo della peste, proveniente dall’Asia. È dunque il grande tema storiografico della «crisi del 300» a pesare, crisi nell’ambito della quale si avverte un cambio nella religiosità che influenza la sensibilità corrente. Senza contare che nello stesso torno di tempo partiva la grande espansione ottomana, con la quale pure si dovette fare i conti.

PROTAGONISTI, ormai, non sono più i «vecchi» crociati, i cavalieri continentali, ma i mercanti e gli uomini di affari, in particolare, almeno per quanto concerne il libro, genovesi e veneziani. A questo periodo e a questi temi la storiografia ha finora prestato scarsa attenzione ed il volume di Lombardo si inserisce quindi in un filone di rinnovamento che sta già offrendo molti risultati. Il volume affronta tematiche cruciali attraverso sette corposi capitoli. Dopo un inquadramento generale, si analizza la cronachistica delle città di Genova e Venezia, per poi passare alle testimonianze documentarie relative alle esperienze dei pellegrini e dei mercanti. Successivamente, si esplora la frontiera mediterranea, spazio liminale nel quale si muovono, oltre ai mercanti, anche esuli per varie ragioni, profughi, prigionieri. Si avvia a concludere con un capitolo dal titolo indicativo. «Pubblico disinteresse, privata iniziativa» e poi con un lungo focus sulle guerre navali contro i turchi e i mamelucchi patrocinate dal papato.

Il 1402 con il quale si conclude il libro si riferisce all’avventura di Tamerlano, che sembrò per un attimo poter cambiare il corso della storia. Non fu così, e l’interesse crociato, sebbene come si è visto mutato di segno, era ormai davvero al tramonto. Scrive Lombardo: «I cronisti genovesi e veneziani, nelle loro osservazioni indirette e omissioni, mettono in luce un atteggiamento di generale inquietudine. Sono chiari i cambiamenti concettuali intervenuti nel linguaggio e una certa presa di distanza dalle crociate contemporanee, non citate nemmeno quando concittadini genovesi o veneziani vi avevano preso parte. Insomma, vi era un certo distacco dalle vicende d’Oriente, che lasciava il passo alla dimensione politica interna o italiana.

LA SCOMPARSA della crociata nei testamenti si affianca alla comparsa di nuovi destinatari, mentre gli stessi lasciti sono occasione per mettere in luce, tramite le formule testamentarie, un malcelato sentimento di precarietà dell’esistenza. Persino il flusso di reliquie aveva smesso di guardare a Oriente».

La Croce dei Mercanti evidenzia fra l’altro la vitalità di un ceto, che almeno per l’Italia sarebbe limitativo considerare soltanto in rapporto ai commerci. È ciò che mostra molto bene la bella sintesi di Gabriella Airaldi, L’occhio del mercante. Commercio e cultura nel Medioevo italiano (Edizioni di Storia e Letteratura, pp. 146, euro 18), che in una serie di brevi capitoli non punta alla teoria, ma alle esemplificazioni. I mercanti scrivono perché senza una cultura scritta la loro stessa attività non sarebbe possibile. E tuttavia, non scrivono solo di mercatura. Viaggiano e descrivono, come i mercanti fiorentini capitanati da Leonardo Frescobaldi che attraversarono Mediterraneo, Egitto e Terrasanta fra 1384 e 1385, in un viaggio ch’era allo stesso tempo religioso e d’affari, senza dimenticare (almeno a detta del protagonista) crociata e persino attività spionistica. Scrivono intorno e nel Mediterraneo uomini di fedi diverse, cristiani, ebrei, musulmani, che al di là delle differenze e anche degli scontri, innegabili, comunque erano compartecipi di una cultura del mare.

SCRIVONO GLI UMANISTI come Dante, Boccaccio, Petrarca, che ugualmente emergono dal ceto mercantile, e che ne accolgono gli interessi per le esplorazioni e i Nuovi Mondi che si andavano delineando: come le Canarie, identificate con le Isole Fortunate, delle quali tutti e tre gli autori inserirono notizie nelle loro opere, a testimonianza di una cultura che non conosceva compartimenti stagni e che L’occhio del mercante ci aiuta, con leggerezza, a esplorare meglio.

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