«Via con me», viaggio nella terra di frontiera sotto le stelle del jazz
Cinema Il documentario su Paolo Conte di Giorgio Verdelli, nelle sale per tre giorni dal 28 al 30 settembre
Cinema Il documentario su Paolo Conte di Giorgio Verdelli, nelle sale per tre giorni dal 28 al 30 settembre
«Sono un vecchio sparring partner/e non ho visto mai/una calma più tigrata,/più segreta di così …stava lì nel suo sorriso/a guardar passare i tram,/vecchia pista da elefanti/stesa sopra al macadàm…». Il lessico profumato di rimpianti e la seducente armonia ritmata, sulle calde immagini di lui seduto al pianoforte contornato dall’orchestra all’Arena di Verona, introducono Paolo Conte, via con me, il documentario di Giorgio Verdelli, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, nelle sale dal 28 al 30 settembre. Un ritratto di 100 minuti basato su una lunga intervista casalinga, spezzettata con pareri e interventi di amici, colleghi e conoscenti, molti realizzati ad hoc. E con tantissime esecuzioni live, apparizioni televisive d’epoca, clip inedite che danno una scorrevole leggerezza simboleggiata da una Topolino amaranto in giro per i vigneti astigiani e gli scorci cittadini.
L’AVVOCATO, seduto in veranda con giacca scura e pantalone di velluto, messa da parte l’abituale parsimonia, ha aperto il suo archivio personale inanellando ricordi e scelte familiari, gli esordi da vibrafonista al festival di Saint Vincent, la partecipazione alla Coppa del Jazz già esperto di Art Tatum e Duke Ellington (il frammento più affettuoso del film con Conte nel buio della sala che guarda il bandleader al piano e il trombettista Arthur Whetsol provare in Black and Tan, un biancoenero musicale del 1929) e il lavoro nello studio legale sognando gli scenari esotici da riportare sul pentagramma.
«IL FREQUENTATORE del Mocambo è il protagonista vero del 90% delle mie canzoni. Un avventuriero, un eroe perdente che sarebbe piaciuto a Fellini, uno sbandato che si muove in questo piccolo locale senza pretese» dice consacrandolo come suo alter ego anche se altre figurine in controluce s’avvicendano: Hemingway, Josephine Baker, Diavolo Rosso, Bartali, Wanda, Schiava del Politeama, protagonisti di un’ epica conosciuta in tutto il mondo, da Alba a Sydney, tra i velluti del teatro San Carlo e le colonne di marmo di Atene, tutti spettacoli assemblati al meglio.
La sua voce, roca e profonda, faticosa e antiretorica, mette in fila parole, suoni e situazioni evocative, profumate di sembianze passate e aromi malandrini, con quello charme un po’ ironico un po’ enigmatico. Poeta, interprete sensibile e artista in perenne equilibro tra i generi, con una tavolozza espressiva che alterna gli essenziali foxtrot, tango, habanera alle più complicate orchestrazioni, in quella terra di frontiera «sotto le stelle del jazz».
TRA I SIPARIETTI spassosi, quello di Benigni («si chiama Conte ma è un principe, è un nobile solenne, il Matisse della musica italiana») che ha avuto persino l’ardire di cantare Mi piace, la moglie di Paolo Conte al premio Tenco 1986, un documento assai poco visto, e quello di Jane Birkin, completamente in estasi, davanti al personaggio dalla voce affascinante e la formidabile eleganza, per il duetto Chiamami adesso. Così la grande passione del pubblico francese (con un paio di spettacoli all’Olympia) e i dischi d’oro olandesi, la massa di fiati al festival di Montreux e un frammento della commedia musicale Razmatazz.
Naturalmente la piacevole scorribanda s’inoltra in un conosciuto repertorio smisurato, da Gelato al limon a Genova per noi, passando da Onda su Onda a Sudamerica fino alle canzoni scritte per gli interpreti più diversi (Celentano, Jannacci, Caselli, Lauzi), tra le svariate versioni di Azzurro, da quelle sceneggiate in tv ai già indimenticabili ritornelli dai balconi durante il lockdown, o di Messico e nuvole, col baffuto artista in frack a inventarsi un ragtime o col dadaista Jannacci e i suoi folli scarti.
Regia sempre molto attenta nel montaggio delle canzoni «dal vivo», in arrangiamenti diversi per evidenziarne i cambiamenti, condita dalle sue tante improvvisazioni vocali dadaduda dudap dudadi e persino gli assoli al kazoo, con quel suono da pernacchio, uno sberleffo trasversale simile alla tromba.
«IO MI SONO sempre vantato di essere uno scrittore di paesaggi, la canzone nella sua costruzione è un po’ come il cinema, ci vogliono elementi che la puntellino. La descrizione di un luogo può essere importante nello svolgimento della trama» aggiunge questo colorista di pochi tratti -la pittura il suo primo amore, praticato ancora a lungo (e finito in copertine e booklet oltre che in mostre).
Bozzetti in grado di rappresentare una certa vita di provincia, quell’ipnotico isolamento di chi ama viaggiare con la fantasia, seduto al tavolino di un bar «con la nostalgia al gusto di curacao». Oggi Conte ha 83 anni ma, in queste immagini molto curate, sembra ancora in grado di ricreare la sua fantastica magia, sul palco o su disco, perdendosi tra un rebus e un disegno, a rendere universali le imprevedibili suggestioni della grande tradizione italiana, «tra l’oleandro e il baobab», chips chips, datti tutibum.
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