Europa

Vertice di fine anno zeppo di incognite. Più concreto un «piano B a 25 Stati»

Vertice di fine anno zeppo di incognite. Più concreto un «piano B a 25 Stati»

Unione europea/Recovery Berlino cerca l’unità dei 27, ma non è escluso un accordo senza Ungheria e Polonia

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 9 dicembre 2020

Nervosismo alle stelle, a poche ore dal Consiglio europeo di giovedì e venerdì, tra Brexit nell’impasse mentre il tempo scorre, Recovery Fund nel limbo a causa del veto di Polonia e Ungheria sulla condizionalità dello stato di diritto e con il capriccio delle divisioni italiane che rischia di dare una spinta decisiva al deragliamento del processo. Il tutto mentre l’Europa non riesce ad uscire dal dramma del Covid.

La presidenza tedesca del Consiglio dei ministri, che finisce il 31 dicembre, ha espresso preoccupazione per la crisi italiana. A Bruxelles c’è preoccupazione per i ritardi nel programma del Recovery italiano, mentre Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Bulgaria, Repubblica ceca e Slovenia hanno già presentato i dettagli. Ungheria e Polonia intanto sono sotto processo. «A luglio è stato trovato un accordo – ha detto il ministro degli Affari europei tedesco, Michael Roth – bisogna sbloccare rapidamente il sostegno finanziario. Tutti i paesi si sono impegnati sullo stato di diritto come valore essenziale, sarebbe irresponsabile ritardare».

Per Roth «non è tempo di veti». Manfred Weber, capogruppo Ppe al Parlamento europeo, ribadisce che per l’Europarlamento «non si rinegozia nella sostanza l’accordo» di luglio, «i 25 sono uniti e Polonia e Ungheria sono isolate». Esiste un «piano B», è «un’opzione sul tavolo» per Weber, «anche se nessuno la vuole, ma è un segnale chiaro» ai due paesi del veto. Viktor Orban, il cui partito, il Fidesz, è stato sospeso dal Ppe, ha proposto una «cooperazione più elastica» con i suoi alleati per evitare sanzioni. In Polonia il governo mostra crepe: il vice-primo ministro, Jaroslaw Gowin, parla di «compromesso» possibile, definisce il veto «ultima spiaggia» e afferma che il paese si accontenterebbe di una «dichiarazione esplicativa» della Ue, per depoliticizzare la questione dello stato di diritto, affidandola a un’istanza indipendente.

In Ungheria come in Polonia c’è forte polemica. I sondaggi dicono che entrambe le popolazioni sono a favore del rispetto dello stato di diritto. I sindaci di Varsavia e di Budapest, esponenti dell’opposizione, hanno scritto una lettera alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen per confermare la loro adesione allo stato di diritto.
La Commissione ha ripreso l’idea francese di passare oltre il consenso di Polonia e Ungheria se il blocco continua, e di fare il Recovery a 25. La procedura è ardua, bisognerebbe passare all’intergovernativo, e in questo caso i prestiti andrebbero ad addizionarsi al debito pubblico dei paesi beneficiari, mentre sarebbe arduo addossare il piano di rilancio alle risorse proprie (ci vuole l’unanimità). Era già successo nel 2011, allora era per aggirare il veto della Gran Bretagna sul Fiscal Compact.

Per Clément Beaune, sottosegretario francese agli Affari europei, «se il blocco continua vuol dire che siamo entrati in una crisi politica». Il primo ministro olandese Mark Rutte ha evocato «l’opzione nucleare»: una Ue senza Polonia e Ungheria. La Germania frena al massimo. E mentre il Recovery Fund non è ancora passato, già rispunta – in Germania e tra i “frugali” – il dibattito sul ritorno all’equilibrio di bilancio.

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